Dossier

Il mondo perduto di Sepúlveda

Quando la cultura si allea alla natura

  • 08.03.2022, 01:00
  • 03.11.2023, 16:10
FOTO COPERTINA Sepulveda.jpg
Di: Marco Alloni 

Il mondo di Luis Sepúlveda è un mondo perduto, letteralmente un mondo selvaggio. Lo è in particolare in quel piccolo gioiello che è il romanzo Il vecchio che leggeva romanzi d’amore.

Ovunque in quelle pagine e in altre dell’opera del cileno riverbera il fatale contrasto che oppone, da un centinaio di anni a questa parte, soprattutto con l’avvento del Novecento modernista, così insensibile alle istanze della primitività, il mondo dell’immacolatezza e quello del progresso. E ovunque si avverte che la simpatia di Sepúlveda è per quel piccolo mondo antico – si potrebbe dire rievocando Fogazzaro – che il colonialismo e l’ansia predatoria dell’Occidente civilizzato hanno finito per cancellare definitivamente.

Eppure è proprio in quel mondo premoderno, proprio in quella condizione di primitività e di rapporto immediato fra uomo e natura, proprio nella morale dei selvaggi e degli indigeni, che si ravvisano nell’opera di Sepúlveda i tratti costitutivi della Cultura nel suo significato più intatto e direttamente connesso alla realtà. Quei selvaggi, infatti, quelle tribù premoderne che vivono come hanno vissuto per migliaia di anni, non hanno conosciuto se non le forme ataviche del potere e la legge per come l’ha disegnata la natura.

Allora ecco che nel Vecchio che leggeva romanzi d’amore la dicotomia tra uomo bianco e uomo arcaico, uomo della città e uomo della foresta, si delinea in tutta la sua drammatica tragicomicità: laddove le popolazioni indigene degli shuar, per esempio, vivono nell’etica del rispetto incondizionato dell’ecosistema, i padroni della politica e i potenti locali pretendono di imporvi le proprie leggi e i propri princìpi. Con il risultato che chiunque si avventuri fuori dai confini della sua protetta modernità finisce divorato dalla forza sovrana della natura e dei suoi abitanti.

E chi sono i suoi abitanti? Chi sono i compagni di destino degli shuar e degli indigeni costretti al confronto con le autorità cittadine che incombono sulla foresta? Sono tigri feroci, branchi di animali selvatici, scimmie bramose di ruberie, uccelli dal grido tremendo. Ciascuno dei quali è emblema di quella verità della natura che l’uomo bianco civilizzato pretenderebbe di violare con la propria sicumera di predatore.

Ma la sorte di chi impone alla natura leggi che non le corrispondono – suggerisce Sepúlveda – è sempre segnata. Laddove la natura non vuole, chiunque osi calpestarla o offenderla sarà presto o tardi destinato alla capitolazione. Come accade agli avventurieri yankee che soccombono nella macchia agli assalti delle scimmie, come accade a chiunque tra i forestieri si illuda di dominare la foresta finendone dominato.

Su tutti questi personaggi – in questa duplice e opposta configurazione dell’umano: dall’umanità offesa raccontata mirabilmente nei Tristi tropici di Lévi-Strauss all’umanità aggressiva che ha fatto oggetto di mille narrazioni sul colonianismo – spicca la figura del vecchio Antonio José Bolìvar, il vecchio che leggeva romanzi d’amore. In quale, nel suo semi-analfabetismo, incarna mirabilmente il traìt-d’union tra una dimensione e l’altra. Il sognante e cinico Antonio conosce solo il modo di leggere, non quello di scrivere. Eppure questa sua minima scienza è quanto gli basta per capire dove si annida l’essenza dell’umano: nell’amore. Un amore che lo travolge grazie alle storie di cui piano piano va leggendo nei libri, ma che è infine – nella lettura estrema di Sepúlveda – prima di tutto amore per ciò che l’uomo può e sa essere quando esprime se stesso in accordo alla natura – cioè al primitivo – e non nel segno della prepotenza del moderno e della civiltà.

Un insegnamento, quello del vecchio che leggeva romanzi d’amore, che appare imprescindibile per non perdere di vista che la Cultura con la C maiuscola non è in definitiva altro che saper leggere quel grande romanzo d’amore che si chiama natura e innocenza dell’uomo. E non a caso, in omaggio a questo tipo di uomo e di natura, la copertina che Guanda ha allestito per il romanzo di Sepúlveda riporta un magnifico quadro del più naturalista dei pittori naturalisti: Henry Rousseau il Doganiere. Quasi a suggerire che la fiera è bella solo se la rispetti e la natura è amica solo se non la offendi.

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