Cinema

The Power

La serie tratta dal bestseller che immagina un matriarcato distopico

  • 01.06.2023, 00:00
  • 14.09.2023, 09:02
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Toni Collette è Margot in "The Power"

Di: Valentina Mira 

Ragazze elettriche ha in comune con Sognando Beckham due elementi: fa fare a delle donne qualcosa che di solito fanno gli uomini; una trasposizione in italiano del titolo che non rende giustizia all’opera e alle intenzioni autoriali. Sognando Beckham parlava di calciatrici, e in lingua originale si chiamava Bend it like Beckham, un invito cioè a “calciarla come Beckham”. Più che due adolescenti intente a “sognare Beckham” le protagoniste avevano tutta l’intenzione di diventare come lui. Ragazze elettriche ha un divario ancora più imponente con il titolo originale, nientemeno che The Power. Il Potere. Perché di una riflessione sul potere si tratta, e tra le più spietate.

Il romanzo di Naomi Alderman è uscito nel 2016, è finito nella lista dei 10 migliori libri dell’anno del New York Times e ha vinto numerosi premi, tra cui il Women’s Prize for Fiction. Si può parlare di distopia se un’opera descrive solo il mondo in cui viviamo, ma a parti invertite? Un tipo di ragionamento già alla base del romanzo Radici bionde di Bernardine Evaristo, tradotto in italiano nel 2021 (Edizioni SUR), ma uscito molto prima di Ragazze elettriche, nel 2008. Nel libro di Evaristo, sintetizzando, i neri erano i bianchi e bianchi erano i neri. Ecco: in The Power accade a uomini e donne, questo scambio di ruoli di potere.

Cosa succederebbe se un giorno l’evoluzione, stanca di vedere le ragazze sotto scacco dell’altro genere, decidesse di dotarle di un organo in grado di dare scosse elettriche? Come una manta nell’acquario, come un taser della polizia, ma stavolta incorporato, e soprattutto usato in modo molto diverso. Le donne di Naomi Alderman si ribellano a tutti i livelli. Non lo capiscono subito, che possono farlo. Ma in qualche tempo ribaltano il mondo. Quello che l’autrice sostiene nell’arco di tutta la narrazione, però, è che non è che perché il potere passa dalle mani maschili a quelle femminili allora diventa buono, o viene usato meglio. Anzi. Le donne potenti di Alderman sono crude. Sono la tesi fatta racconto di una cosa che molte intellettuali e svariate ondate di movimenti femministi sostengono, e non da oggi: il femminismo essenzialista (quello che si riferisce alle sole persone nate e cresciute come donne) ha fatto il suo tempo. Se non s’intersecano le lotte - di classe, antirazzista, ecologista, antisessista, antiabilista, tutte quelle che vogliono una società più equa e un ecosistema che non porti all’estinzione - non sarà certo nominando una donna qualsiasi come presidente di un paese o a capo di un consiglio di amministrazione che si otterranno i risultati sperati. Questo è quello che ci dice Alderman col suo libro. In un’intervista sosteneva: «Sono cresciuta nel Regno Unito negli anni Ottanta, quando Margaret Thatcher era Primo ministro, pensando che una donna al comando sarebbe stata più compassionevole. Dopo dieci anni del suo governo, mi sono fatta un’altra idea a riguardo. La mia esperienza personale con le donne è che ci sono donne meravigliose e donne orribili. Ci sono donne in gamba e donne stupide. Ci sono donne generose e donne egoiste e pensare che le donne siano tutte adorabili è un’altra forma di sessismo». Arriviamo a oggi.

È appena uscita l’ultima puntata della serie tratta da The Power. Gli episodi sono 9, su Amazon Prime, lunghi circa un’ora l’uno. E sono stupendi. Un esempio magistrale di trasposizione cinematografica di un romanzo, rara eccezione alla formula “era meglio il libro”.

The Power, Prime

Auliʻi Cravalho in "The Power"

Alla sceneggiatura ha partecipato la scrittrice stessa, e si vede. È rispettosa della trama originaria, ma soprattutto in grado di aggiornarla. Per esempio, c’è il covid. Inoltre, le persone trans e non binarie esistono, non si fa finta di no.
Le protagoniste sono tutte diverse. C’è la candidata alla presidenza degli Stati Uniti. C’è la figlia di un malavitoso. Come in ogni buon patriarcato al contrario, c’è anche la profeta di una nuova religione. C’è “la Putin”, perfino. E sua sorella, che invece guida le ribelli del paese, non prima di aver avuto un rocambolesco parto acquatico. Ognuna di loro sembra un archetipo junghiano, ma sono le tante facce del potere. Abdullah Öcalan nel suo La rivoluzione delle donne (Tabor, 2019) ci racconta che il patriarcato nasce proprio da questo: un’alleanza di vari poteri. Istituzionale, religioso, militare. Qua li troviamo tutti rappresentati. Quello militare però da alcune - dalle ribelli - non è voluto, è la sua abolizione quanto rappresentato su schermo in alcune scene. Diversa la posizione di Margot, la politica statunitense, e di quella che abbiamo definito “la Putin” della serie, Tatiana.

Il punto di vista di Alderman non è mai sintetizzabile con un piatto e inverosimile “le donne sono tutte buone”. Anzi. Le sue donne sono tutte piuttosto cattive. E va bene così.
Il suo matriarcato nasce come è nato il patriarcato: dall'alleanza tra poteri. E, come il patriarcato, non è una cosa buona. Alcune donne - molte - stanno in basso, tra le subalterne e le ribelli, poche stanno in alto. È il mondo in cui viviamo a parti inverse, né più né meno.

La potenza di Ragazze elettriche è tutta nei simboli. Un’iconografia che l’autrice conosce approfonditamente, e che riscrive, ribalta. Simbolico è, pertanto, il momento in cui una donna passa il potere a un’altra donna: il viso si atteggia nell’espressione inconfondibile di un orgasmo. C’è, del resto, qualcosa di più potente del rappresentare il culmine del piacere per chi ha sempre visto il suo come represso, sbagliato, censurabile e censurato, quando non subìto?

John William Waterhouse, A Mermaid, 1900
  • John William Waterhouse, A Mermaid, 1900

Simbolico è, ancora, il momento in cui le ribelli vengono adescate da un giornalista; la scena ricorda l’iconografia di alcuni dipinti di John William Waterhouse, con le sirene appollaiate al bordo di qualche stagno, oppure l’immagine delle ninfe, del rapimento di Persefone. Qui non verrà concesso di rapire nessuna Persefone: quando l’uomo, respinto, le chiama “brutte vacche”, le ribelli pensano bene di friggerlo in quello stesso specchio d’acqua che stava provando ad attraversare per raggiungerle. E chi erano le sirene se non delle donne a cui avevano rapito e violentato una sorella, proprio Persefone, del resto? Le ribelli in questione hanno una storia analoga. È per questo che usano il nuovo potere per ferire e vendicare.

E poi c’è Roxy. Non tutti i portatori di fulmini sono Zeus. Non tutti vogliono uccidere Crono. La figlia di un mafioso che risparmia un padre uxoricida e traditore, scegliendo invece - in una scena di rara potenza - di passare l’elettricità a una donna che finora le era avversa, ma solo perché esautorata. Quante di noi non sono state solidali con le altre perché impossibilitate a fare altrimenti da una posizione di debolezza? Si pensi ai casi di molestie sul lavoro, all’omertà delle colleghe per non perdere il posto.

Zrinka Cvitešić, Tatiana in Ragazze elettrice

Zrinka Cvitešić è Tatiana in "Ragazze elettriche"

Forse il personaggio più interessante è quella che finora abbiamo chiamato “la Putin”, Tatiana Moskalev. Da donna del capo a dittatrice, finché non decide di avere anche lei il potere vive calcificata nella sua stessa maschera di fondotinta. Lei è il patriarcato. Per sopravviverci dentro, a differenza della sorella che si muove nei bassifondi, è scesa a compromessi con tutto. Il suo viso è la sua recita: costretta a non essere vista, gioca il gioco dei suoi oppressori per ottenerne il più possibile. La vogliono bella? Lei è bella, a qualunque costo, che siano ciglia finte esagerate o chirurgia plastica, purché l’aspetto sia inattaccabile. La vogliono muta? Lei sta muta. Finché non ha il potere, e non il suo riflesso. Finché, da luna, non si fa Sole. Emblematica la scena in cui dismette i panni della donna ricca ma oggettificata: il marito dà un calcio al cagnolino. L’abbiamo vista subire angherie peggiori, eppure capiamo che lei forse in quel piccolo cane indifeso vede se stessa, e una vita passata a scodinzolare per due briciole, per cui dopo un «che ti ha fatto Vudim?» con le lacrime agli occhi, lacrime da bambina che si ribella al papà, commette il suo primo, estremo atto di potere. Un omicidio, che è anche un colpo di Stato. Dopo il battesimo del sangue ha la sua scena madre: ha finto per tutta la vita pur di sopravvivere, in fondo fingere di non essere stata lei a ucciderlo non è niente di nuovo. Forse, per la prima volta non finge anche con se stessa. Tatiana è il femminile crudele, deviato, nazionalista, ma potente. Sacrifica perfino la sorella in nome di una ex patria che è diventata una matria, ma è la stessa cosa. Forse lei più di tutte le altre replica gli schemi patriarcali. Nella sua parabola individuale, però, è una rivoluzione assoluta. Lei è il Potere. E, in quanto tale, spiega meglio di qualunque altra il teorema di Naomi Alderman, cioè che un certo tipo di potere è marcio in sé, il genere che lo detiene non ne cambia la natura. Il modo in cui si decide di usarlo, quello sì.

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