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-: Ed Sheeran dà, Ed Sheeran toglie

Il re del pop britannico racconta perdite personali, mentre lascia perdere una parte del suo eclettismo pop. Ma non è detto che sia un male (e intanto è sempre primo in classifica)

  • 15.05.2023, 16:17
  • 14.09.2023, 09:01
Ed Sheeran

Ed Sheeran

  • keystone
Di: Michele R. Serra 

Non vorrei sembrare ansioso, ma: cosa farà Ed Sheeran domani?
Del resto, è lui stesso ad aver detto che ha una personalità ossessiva, in diverse interviste. E quindi: adesso che ha finito con l’aritmetica di base, cosa farà? Dopo il successo di +, ha intitolato i suoi album successivi X, :, = e - . Quindi, a meno che non voglia proseguire con % (un album politico?) o (un album radicale?), gli toccherà cambiare.
In effetti, - (che da qui in poi chiamerò Subtract, per esteso) è una metafora molto chiara. Sheeran non è mai stato un tipo da metafore complesse: avete presente “Ti hanno visto bere / a una fontana / che non ero io”? Ecco, niente di tutto questo. Subtract parla di qualcosa che improvvisamente manca. Di perdita, o del rischio di quest’ultima.
Di qualcosa in meno, sì. O -, se preferite.

C'è una perdita importante al centro di questo disco, quella dell’amico Jamal Edwards, youtuber e fondatore del canale musicale online indipendente SBTV, morto improvvisamente a 31 anni per un attacco cardiaco causato dalla cocaina nel gennaio del 2022. Non è esagerato dire che Jamal fosse uno dei più cari amici di Ed Sheeran: è stato Jamal ad ospitarlo per mesi nel suo appartamento, quando, diciottenne, si era trasferito a Londra per cercare fortuna; è stato un video del canale YouTube SBTV a dargli visibilità per la prima volta. Una vera bromance, come solo a vent’anni può succedere – tanto che, nell’ambiente musicale inglese, qualcuno aveva messo in giro il pettegolezzo che i due fossero amanti. Facile capire perché quella di Jamal Edwards sia stata una morte sconvolgente. E non è stata l’unica notizia brutta, in un anno difficile. Poco prima della morte di Edwards, alla moglie Cherry è stato diagnosticato un tumore. Lei era incinta di sei mesi, e per intervenire era necessario aspettare il parto. L’operazione è avvenuta con successo dopo il parto, a giugno, il giorno prima di una serie di cinque concerti a Wembley. I biglietti venduti solo in quelle cinque serate sono state più di 400.000.

Insomma, forse ad alcuni occhi potrebbe apparire un cliché ridicolo, quello della popstar sofferente e sull’orlo della depressione. Eppure è innegabile: solo un uomo nella posizione di Sheeran – non sono molti, al mondo – può vivere in un anno un tale ottovolante emotivo di vette altissime e paurosi sprofondi. Cosa può provare una persona che ha molto più di quanto un uomo possa desiderare nei suoi sogni più sfrenati (riviste specializzate hanno calcolato che i guadagno di Sheeran ammontano a circa 90.000 franchi al giorno), che gode di una fama non misurabile, di fronte alla prospettiva di poter comunque perdere tutto, di fronte all’idea di essere in balia della sorte, come tutti gli altri? Sarebbe stato estremamente interessante sentirsi raccontare esperienze del genere, senza filtri. Il problema è, come dicevo poco più sopra, che Sheeran non è un amante dei ragionamenti complessi. E per carità, senza dubbio avrà ragione lui: la musica pop deve essere immediata, leggibile da chiunque, generalista. Non è un male, e ci vuole una certa abilità anche per semplificare. Tuttavia, non si può neppure dare torto ai critici che sottolineano come testi tipo “Dicono che tutte le cicatrici guariscano / ma io so che forse non lo farò” (dalla canzone di apertura Boat) non siano esattamente quanto di più raffinato si possa trovare in giro, anche per motivi molto semplici: “Le cicatrici non guariscono” – chiosa Marc Hogan su Pitchfork – “Sono cicatrici”.

Al di là di ogni discorso sulla qualità – concetto scivoloso e inevitabilmente soggettivo – non si può dunque negare che la metafora aritmetica sia rispettata dai testi. E la stessa cosa si può dire della musica: la produzione di Aaron Dessner, anima degli americani The National e già collaboratore di Taylor Swift (notoriamente grande amica di Sheeran) per gli album Folklore e Evermore, lavora – indovinate un po’ – per sottrazione. L’atmosfera è dolcemente malinconica, essenziale, sobria. L’irruzione sporadica di qualche vera chitarra rock, così come il ritorno del cantato quasi-rap che ha fatto la fortuna di Sheeran nel passato, non spostano l’equilibrio di un album che sembra fatto per essere ascoltato in una giornata di pioggia, guardando da dietro le finestre la campagna del nord dell’Inghilterra. O qualcosa del genere.
La mancanza di una vera collaborazione con altri autori eccetto Dessner (mentre gli album precedenti avevano almeno tre nomi accreditati, per ogni canzone) rende Subtract se non altro il disco più coerente tra quelli che hanno seguito l’esplosione di Sheeran come più importante autore della sua generazione pop (non solo grazie alle sue hit, ma anche a quelle scritte per colleghi come One Direction, BTS, Justin Bieber e per la già citata Taylor Swift). E si tratta senza dubbio di un disco diverso da tutti quelli che lo hanno preceduto. Il che lo rende, in un certo senso, un disco coraggioso: spostare anche solo una virgola della sua formula commerciale perfetta potrebbe danneggiare le vendite, e non c’è dubbio che là fuori ci siano molti pronti a sottolineare ogni crepa nel fantasmagorico successo di Sheeran.
Per ora, però, le profezie di sventura sono state smentite: Subtract è entrato immediatamente al numero uno delle classifiche inglesi, coronando una prima metà di maggio perfetta per Sheeran, aperta dalle vittorie in aula che hanno messo fine alle cause per plagio intentate contro Thinking Out Loud, accusata di essere copiata nientemeno che da Let’s get it on. L’estate sembra destinata a portare altre buone notizie, e forse numeri da record: Ed ha ancora quattro mesi di tour per battere il record di maggior incasso live di tutti i tempi, attualmente detenuto da Elton John e dal suo interminabile tour di addio. E se la semplicità della sua formula musicale lascia ancora interdetto qualche critico, la realtà è quella sottolineata dal Guardian: fosse così semplice, chiunque potrebbe essere al suo posto. E invece.

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