È tutta una questione di strade. Quelle di New York, percorse nello stesso periodo da Jean-Michel Basquiat e personaggi dai nomi di battaglia di Grandmaster Flash, Afrika Bambaataa, Kurtis Blow. Il primo diventerà artista rivoluzionario, che porterà i fermenti di quelle strade nelle gallerie d’arte internazionali; i secondi sono tra i pionieri del nascente hip hop. E queste strade, a un certo punto, si incroceranno pure.
Un artista in 3 opere – Basquiat
RSI Cult+ 02.11.2022, 01:00
Siamo da qualche parte fra gli anni ’70 e ’80 e nel reticolo d’asfalto della Grande Mela Basquiat inizia la sua carriera di artista assieme all’amico Al Diaz. Si firmano SAMO, sono dei writer che sprayano sui muri frasi enigmatiche sulla «fine del lavaggio del cervello religioso, della politica del nulla e della filosofia fasulla» per proporre una «alternativa all’arte di massa» che salvi «gli idioti da sé stessi».
Parallelamente, nella metropoli, si sta sviluppando una cultura composta da diverse discipline: l’arte vocale del rap, le pose plastiche della breakdance, i graffiti che colorano il grigio cittadino, il djing (qualcosa di più di mettere dischi) e il beatboxing. Si chiama hip hop. A conti fatti, un’alternativa all’arte di massa in voga all’epoca.
Ed è proprio nello scratch, nella puntina che sfregia i vinili dei dj, che troviamo il primo incrocio fra Basquiat e i pionieri dell’hip hop. Perché nelle sue opere l’artista assembla codici e linguaggi, testi e immagini, e lo fa in modo ritmico e graffiante. Esattamente come i produttori rap costruiscono le basi su cui gli MC appoggiano le loro rime, cioè campionando, prendendo frammenti di altre canzoni per creare qualcosa di completamente nuovo.
È l’amico Fab 5 Freddy a introdurre Basquiat nel mondo dell’hip hop. Lui però aveva già esplorato territori musicali di rottura con i Gray, band No Wave newyorkese nella quale suonava clarinetto, chitarra e sintetizzatore e la cui estetica sonora si avvicinava molto a quella dell’hip hop.
Nel 1983 Basquiat produce e arrangia il singolo Beat Bop, di cui realizza anche la copertina, fattore quest’ultimo che lo renderà pezzo pregiatissimo per i collezionisti (oltre alla stampa limitata a 500 copie). Il rap è un prolungamento naturale delle sue opere, in cui messaggi di critica sociale raggiungono il pubblico con impatto dirompente.
Basquiat ancora oggi è celebrato dagli esponenti della cultura hip hop come un ispiratore. RZA del Wu-Tang Clan lo ha definito «un monaco Shaolin dell’arte» che «dipingeva come se stesse combattendo» e la cui pittura «è come un beat: sporca, sincera, potente». Un giovane re, come viene anche chiamato per i simbolismi da lui usati, la cui opera risuona in tutte le gallerie: nelle pinacoteche come nei cunicoli urbani.
Jean Michel Basquiat
Babylon’s burning 15.09.2025, 19:35
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