In questa puntata di Voi che sapete approfondiamo un fenomeno musicale sempre più diffuso e discusso e oggi di stretta attualità: quello delle cover (o tribute) band. Dai Pink Floyd ai Queen, da Battisti ai Beatles, la memoria di grandi gruppi e artisti oramai scomparsi rivive grazie a band specializzate nella riproposizione di repertori che hanno segnato la storia.
Chi sono questi musicisti che scelgono di reinterpretare opere altrui, spesso con una straordinaria fedeltà all’originale e riscuotono un successo notevole, sulla scia dei loro maestri? Qual è il confine tra tributo artistico e mancanza di originalità?
Una riflessione sull’autenticità, sull’identità dell’artista e sull’eredità musicale. Un’occasione per comprendere meglio un fenomeno che non è solo spettacolo, ma rivela il bisogno di ancorare il presente a un passato glorioso: retromania è il termine coniato dal critico inglese Simon Reynolds per indicare la tendenza della musica pop/rock a guardare indietro, non solo avanti. Oggi saranno con noi Fabio Castaldi, creatore e musicista dei Pink Floyd Legend e il musicologo genovese Paolo Prato.
Non è affatto infastidito dalla definizione di cover band, Castaldi. Per lui è poi come la band esegue i brani dell’artista omaggiato a fare la differenza. I Pink Floyd Legend si impegnano per eseguire le canzoni nella maniera più fedele possibile agli originali:
«I Pink Floyd, in particolare, ho sempre pensato e ho sempre detto che per il modo in cui hanno composto i loro brani saranno il nuovo classico tra 100 anni».
Essere fedeli agli originali significa anche procurarsi strumenti, apparecchiature e altri materiali identici o addirittura usati all’epoca dai musicisti di riferimento:
«La partitura di Atom Earth Mother, la partitura originale, l’ho acquistata da Ron Geesin [musicista, collaborò coi Pink Floyd] che sta nel Sussex e ce l’ha mandata... quella che lui ha usato nel ‘70».
I legami fra Pink Floyd e i grandi compositori del passato ci sono, se pensiamo agli elementi classici inseriti da Waters e soci nella loro musica. Castaldi sottolinea quanto questa musica riesca a superare i confini generazionali:
«In quegli anni si sperimentava la commistione tra il classico e il rock. Quella è stata un’esperienza, un esperimento, ma io lo vedo adesso, che sono dieci-dodici anni che portiamo in giro Atom Earth Mother, e vedo un sacco di riscontro positivo. Una cosa del ‘70, che potrebbe essere pesante, invece è trasversale: dal diciottenne a chi ha un’età più non più giovane».
Prato inquadra questa tendenza all’interno di una nuova epoca nella quale è entrato il rock:
«Siamo entrati in un’altra epoca della popular music. Dopo un periodo in cui le canzoni - tra gli anni ‘20 e gli anni ‘50 - avevano sempre la stessa forma, a un certo punto, a metà degli anni 50, arriva il rock. Da quel momento si incomincia a creare un nuovo canone, dei nuovi classici che vengono resi ancora più mitici, più leggendari nel momento in cui muoiono. Pensate a Hendrix, a Morrison, a Janis Joplin, Kurt Cobain, John Lennon. Ecco, la loro fama si è amplificata esageratamente dopo la loro morte e sopravvivono oltre il loro tempo, diventano a un certo punto repertorio. Ma perché?
Per riempire anche un vuoto, un bisogno di rivivere atmosfere che altre generazioni hanno vissuto di persona e queste non possono più vivere, quindi, come fai? D’altronde noi ascoltiamo la musica di Mozart non da Mozart, perché è morto trecento anni fa!
Ascoltiamo da chi è in grado di riproporla, dei professionisti. Quindi secondo me stiamo semplicemente cambiando epoca: stiamo arrivando a un’epoca in cui la grande generazione dei miti del rock ormai sta abbandonando il campo, un po’ per ragioni puramente biologiche, altri per ragioni anagrafiche. E quindi arriverà una seconda fase in cui questi classici rivivranno grazie alle tribute band».