Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, degli alieni atterrarono sulla Terra. O almeno, nella musica tutto il mondo. Il risultato fu più vicino a quello visto in un E.T. l’extra-terrestre che all’apocalisse di La guerra dei mondi: il pubblico non riuscì a stabilire un vero contatto con loro, e viceversa, tanto che sarebbero tornati al proprio pianeta, chissà quale, sconfitti. È la parabola dei Devo, un gruppo statunitense di pop d’avanguardia - anche se attribuire definizioni di genere resta complesso: c’erano la new wave, il punk, l’elettronica, perfino accenni di demenziale - conosciuto per il successo della hit Whip It (1980). Ora rivivono in un documentario, DEVO, in streaming su Netflix, che ne ricostruisce il cortocircuito. Perché sì, furono alieni veri, incompresi. Come dicono all’inizio: «La gente ha ballato con noi, ma non ci ha capiti». Eppure, più che un fallimento, questa è la cronaca di una storia che non sarebbe potuta andare diversamente, e che dalla sua unicità - non avevano antenati, non hanno eredi - trae forza.
La storia dei Devo in un documentario su Netflix (Radio Monnezza, Rete Tre)
RSI Cultura 30.09.2025, 21:00
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Non a caso il documentario, uscito il mese scorso, sta diventando un piccolo cult non solo tra gli appassionati in senso stretto, ma anche tra chi - e sono tanti - non li conosceva. Si parla, infatti, di una band la cui memoria è pressoché cancellata tra chi ha trent’anni o meno, ed è a loro che cerca di rivolgersi la Warner Bros., che ne detiene i diritti e ha finanziato l’operazione di riscoperta, a sua volta costruita con una serie di interviste di oggi e un’enorme quantità di materiale d’archivio. È una sfida: se finora Netflix ha prodotto quasi solo lavori su artisti già storicizzati o ancora attuali, qui si racconta alle nuove generazioni un fenomeno per lo più underground e legato al passato. Eppure l’esperimento, a giudicare da com’è stato accolto, funziona, non solo perché la vicenda dei Devo è romanzesca, ma anche perché semplicemente… avevano ragione.
Figli del Sessantotto, nascono nel 1972 da Gerald Casale e Mark Mothersbaugh, studenti della Kent State University, il famigerato ateneo dell’Ohio al centro di una violenta repressione durante gli scioperi contro la guerra nel Vietnam. È tutto già nel nome stesso, Devo, che sta per de-evoluzione, concetto teorizzato dal filosofo ungherese Oscar Kiss Maerth nel libro The Beginning Was the End (1971), per cui per una questione di cannibalismo e scimmie l’evoluzione umana procederebbe al contrario: più passa il tempo, più diventiamo idioti. E l’indiscriminato uso delle armi è il punto di non ritorno. Non a caso, Casale e Mothersbaugh, che avevano assistito alla fine degli ideali con cui erano cresciuti e del Sogno Americano, seguito dalla nascita della società del consumo e annesso imbarbarimento del dibattito, prendono la palla al balzo: non conta che quello di The Beginning Was the End sia un tratto senza veri fondamenti scientifici, conta provocare, “svegliare la gente”.
Le idee prima di tutto, insomma, e i Devo le hanno: ci stiamo tutti de-evolvendo, o meglio, ci siamo già de-evoluti. Provano con l’arte visiva, ma trovano uno sbocco credibile solo nella musica, con canzoni satiriche e radicali, che ironizzano sulla presunta stupidità umana da ogni sfumatura, dal rapporto con la religione (con frasi che oggi appaiono “scorrette”), il lavoro e la produttività a temi come l’ipersessualizzazione della realtà e le contraddizioni stesse della discografia. L’influenza principale, tuttavia, resta l’art-rock della Factory di Andy Warhol, con un approccio massimalista e per certi versi da pionieri, mischiando da subito filosofia, provocazione pura, pop-art e un enorme lavoro sul lato video - MTV e i videoclip devono ancora arrivare, di fatto giocano d’anticipo, pensando addirittura a dei film. Con movenze robotiche, costumi da automi ormai considerati dei classici e un certo umorismo nonsense, i loro live sembrano happening situazionisti, dadaisti, dove ci s’imbatte in venti minuti di lacerante “assolo di mal di testa”. Uniscono punk e sintetizzatori, rappresentano il futuro, ma è un futuro distopico, o è un presente già deragliato. Celebre, su tutti, la cover “scomposta” di (I Can’t Get No) Satisfaction dei Rolling Stones, a prendere in giro la posa classica ed edonista delle rockstar di allora, per un genere che si era già imborghesito.
Non loro però, che restano degli utopisti e che, paradossalmente, proprio per questo piacciono agli addetti ai lavori, oltre che a giganti come David Bowie e Iggy Pop. A quel livello, sono già una band di alto profilo, e tale restano. Il problema è il grande pubblico, che loro vorrebbero “turbare”, far rinsavire. È lì che cominciano i guai: la Warner Bros. li vuole meno estremi, più commerciali e vendibili, loro in parte si piegano - non si vive di sola arte, fanno capire - e in parte no, forse giocano male le poche e strane carte a disposizione, forse appunto doveva solo andare così. Tant’è. L’unico successo da classifica è Whip It, peraltro casuale, senza che nessuno, neanche i discografici, avesse scommesso su quel pezzo: diventa un tormentone in tutto il mondo grazie a un riff micidiale, ma in pochi, per loro stessa ammissione, capiscono il significato satirico. In qualche modo, intorno a quel pezzo si crea lo stesso circo mediatico criticato al suo interno, e di cui i Devo - che non riusciranno a bissarla, pur a volte provandoci - resteranno vittime. Per qualche anno il paradosso regge, poi lentamente si spengono.
Ma DEVO, il documentario, è giocato tutto qui, sul non avere rimpianti, sul fatto che essere alieni comporta oneri e onori. Quarant’anni dopo, lasciano intendere, la de-evoluzione è più forte che mai, mentre esperimenti così radicali sono ancora più rari (e per questo, vista oggi, la loro parabola è appassionante anche per i giovanissimi). Dalla tragedia alla farsa. E i Devo restano lì, «de-evoluti anche noi», visionari della musica senza un vero riscatto, anche perché, probabilmente, non può esserci. Non è vero, ecco, che non si sono fatti capire: è che il mondo non è mai stato disposto ad ascoltarli.

Lezione di de-evoluzione
RSI Cultura 30.09.2025, 16:10