Per rendere omaggio a Lalo Schifrin nel giorno in cui, in redazione, giunge la notizia della sua dipartita avvenuta nella notte a Los Angeles, potrei snocciolare tutta una serie di date e dati per testimoniare l’importanza nelle vicende del jazz e del cinema. Ma verrebbe presto smascherato il giochetto del “vai su un’enciclopedia online a caso e tira giù un po’ di informazioni” (e chi è senza peccato…). E allora scelgo un’altra strada.
Una strada che prende avvio da quei primissimi secondi della colonna sonora della serie tivù Mission: Impossible. Basta pochissimo per comprendere dove ci troviamo: al centro dell’azione, nell’insidioso mondo delle spie. Un flauto sottile come uno stiletto, un ritmo che incalza, un climax che cresce per poi discendere nella coolness – parliamo pur sempre di agenti segreti fighi, che fanno cose pazzesche – e poi culmina nell’esplosione (per rimanere nel campo semantico) di fiati su cui il pezzo si chiude. Due minuti e trentaquattro che scorrono esattamente come un film. È musica che si vede.
Non me ne vogliano i vari artisti, alcuni di fama mondiale, che l’hanno rifatta o inserita/omaggiata nei loro pezzi, ma io preferisco sempre l’originale, con la sua bella patina Sixties. Però onore al merito di Adam Clayton e Larry Mullen (la sezione ritmica U2), che le diedero un tocco più rock per il primo film con Tom Cruise del 1996, e una menzioncina anche per i metallari alternativi Limp Bizkit, che ne fecero il motivo portante della loro Take a Look Around, canzone principale del secondo episodio cinematografico.
Questo è il punto che risalta di Schifrin: la sua musica ha la capacità di attraversare il tempo e rimanere sempre attuale, trasformandosi grazie al passaggio da un musicista all’altro mantenendo immutato il suo fascino. Qualcosa che è dei grandissimi, di personaggi del calibro di John Barry ed Ennio Morricone, giusto per citare altre due eccellenze.
Perché sempre nella colonna sonora da cui siamo partiti scorre Danube Incident. Gli inglesi Portishead campionarono, ovvero ne presero percussioni, ottoni e basso per riconfezionarli in quel gioiellino che è Sour Times, fra i pezzi-simbolo del trip hop e di tutti quei generi che avrebbero fuso jazz, musica da film e nuove espressioni urbane. Sour Times - e quindi Danube Incident - a sua volta verrà ripresa fino ai giorni nostri, incuriosendo, scommetto, gli ascoltatori più giovani e attenti rispetto alla provenienza di quelle sonorità notturne.
Potrei tediarvi con il ricordo dei brani della colonna sonora di Bullitt, il film con Steve McQueen, copiati su Minidisc fra un pezzo drum’n’bass e uno hip hop all’alba dei Duemila, ma la cosa si farebbe troppo personale, e non è questa la sede. Di certo alcune delle sue prove più memorabili per il grande pubblico le ha offerte nel cinema d’azione e in quello poliziesco. Per dire, anche quella carogna dell’Ispettore Callaghan attraversò i bassifondi accompagnato dalle sue note. Perché i grandi duri del cinema si sono rivolti volentieri a Lalo Schifrin per dare alle loro imprese il giusto sound.
293 campionamenti e 78 riletture: forse può sembrare irriguardoso metterli accanto all’Oscar, ai 4 Grammy e al Latin Grammy vinti in carriera (sì, questi li ho presi da un’enciclopedia online a caso), ma mettiamola così: mentre questi ultimi sono il frutto dell’apprezzamento di qualificate Academy e giurie, i primi sono il tributo di musicisti di tutte le estrazioni. Che, assieme al pubblico che ne ha potuto esplorare l’opera, non importa attraverso quale fonte, rappresentano un po’ il “voto popolare”. Espresso con piena gratitudine.
È morto Lalo Schifrin (Parade, Rete Due)
RSI Cultura 27.06.2025, 09:40
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