Scalette da consumare ovunque ci troviamo, in qualsiasi momento, per il tempo che vogliamo. Selezioni proposte (talvolta propinate) dai servizi di musica in streaming, che hanno soppiantato, a livello di rituale diffuso, l’ascolto “dedicato”, quello che iniziava con la puntina appoggiata sul vinile e come pausa conosceva solo quella per girare facciata. Nell’alternanza delle mode che, a seconda delle tendenze e delle nicchie, riportano in auge questo o quel supporto (il vinile, la cassetta, perfino il vituperato ciddì), il motivo di fondo è sempre più dettato da questo ascolto liquido.
Ma si può ancora parlare di ascolto, inteso come attività che presuppone attenzione e concentrazione? O questa fruizione spezzettata è piuttosto un’arma di distrazione di massa che ci allontana dalla vera essenza della musica? È ciò su cui si sono interrogati Claudio Farinone e Giovanni Conti a Voi che sapete, in compagnia dei loro ospiti.
Musica ammannita attraverso gli algoritmi, che registrano le nostre preferenze e ce le rigirano sotto forma di sequenze di brani, senza obbligarci a un minimo di ricerca. «Penso che tutto quello che presuppone un atteggiamento passivo è qualcosa che ci deve insospettire», sostiene il produttore discografico Stefano Senardi, convinto che dopo un’iniziale euforia ora si sia «scoperto il trucco, che queste playlist sono un po’ avvelenate». Avvelenamento come quello che può causare un’indigestione - di suoni. «È come se un giorno vai in un ristorante e ordini lasagne, e da allora in poi ti portano sempre lasagne: diventa soffocante», fa notare il cantautore Eugenio Finardi.
A proposito di ristoranti, si riaffaccia il tema della musica nei locali pubblici. «Dovrebbero fare una legge mondiale: no musica nei ristoranti, a meno che non sia dal vivo», è la provocazione di Finardi. «È un brusio di fondo che non serve a nessuno», aggiunge Senardi «io dico sempre che per ascoltare quella musica lì dovrebbero pagarci».
Basta sottofondo musicale nei locali!
Voi che sapete... 07.10.2025, 16:00
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A Senardi piacerebbe che l’ascolto, invece di essere subito, diventasse qualcosa di attivo e consapevole, che fosse insegnato nelle scuole; ma, osserva Finardi, «la cosa peggiore è che non ci sarebbe nessuno per insegnarlo» perché manca «qualcuno che capisca il senso profondo della musica». Secondo il musicista milanese la musica è stata banalizzata, e ciò la condurrà in un buco nero. Scenario già visto negli anni ’50, prima dell’avvento dei Beatles. «Poi sono arrivati loro, ed è scoppiato il Big Bang. Stiamo aspettando un nuovo Big Bang», chiosa sempre Finardi.
Tornando alla musica consumata sulle piattaforme, cosa resta dell’ascolto in questo “zapping” compulsivo in cui, un po’ come si fa scanalando alla tivù, i brani ci portano di qua e di là, senza una direzione precisa? Per Senardi è un fatto doloroso: «Immaginatevi un disco dei Beatles più maturi in cui non trovi quel pezzo a chiudere l’album e quel pezzo ad aprirlo». Qualcosa di impossibile da concepire, almeno per chi ha conosciuto il formato album, perché «gli album sono racconti, sono la guida all’ascolto».
Lo streaming musicale: arma di distrazione di massa
Voi che sapete... 21.10.2025, 16:00
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