Società

Libere di dover partire: raccontare l’emigrazione femminile in Svizzera

Il portale multimediale dà voce alle storie di nove donne italiane: vite segnate da separazioni forzate e dolore, ma anche da coraggio e trasformazioni sociali

  • Oggi, 10:00
R_1920_09.jpg
  • mattialento.pageflow.io/liberedidoverpartire.ch
Di: Alphaville/gapo 

Esiste una storia che, nonostante il suo peso nella costruzione sociale del Paese, non è stata raccontata a sufficienza: quella dell’emigrazione femminile dall’Italia alla Svizzera, ieri come oggi. Un fenomeno rimasto ai margini della narrazione pubblica, spesso oscurato dall’immagine dell’operaio uomo che parte e della donna che resta ad aspettare. A riportare finalmente al centro questa prospettiva è il progetto Libere di dover partire, firmato dal giornalista Mattia Lento e dalla regista Manuela Ruggeri, insignito della Menzione speciale del Premio Ermiza per la parità di genere nei media 2025. Il loro lavoro ricostruisce il percorso della migrazione femminile attraverso il ritratto di nove donne arrivate in Svizzera in momenti storici diversi, mettendo in luce un’esperienza fatta di sacrifici, solitudine e separazioni.

L’idea di Lento e Ruggeri prende forma grazie a una piattaforma digitale che raccoglie testimonianze attraverso audio, immagini e video, restituendo una sorta di diario corale e multiforme. La prima storia è quella di Maria Antonietta Freda, che nel 1964 dovette separarsi dal suo bambino per poter lavorare in Svizzera. In un audio rievoca quel momento con profondo dolore: «È stata una tragedia per me lasciare il bambino. Una pena nel cuore che io ancora oggi non so descrivere. Un dolore dentro».

2G3A8657.jpg
  • mattialento.pageflow.io/liberedidoverpartire.ch

Quella di Maria Antonietta non è l’unica storia di questo genere. Anzi, la sua vicenda rappresenta una ferita condivisa da molte donne costrette a lasciare i figli in Italia perché le leggi sui lavoratori stagionali impedivano il ricongiungimento familiare. Come spiega il giornalista, questo fenomeno è stato quasi sempre raccontato dalla prospettiva dei bambini, e quasi mai da quella delle madri. Le loro voci rivelano il peso del dolore e del senso di colpa che hanno portato dentro per tutta la vita. Maria Antonietta, alla fine, riuscì a riunire la sua famiglia e costruire una grande comunità affettiva in Svizzera; un esito felice che tuttavia non cancella la sofferenza di un’esperienza tanto traumatica.

Ho cominciato a cucire a mano. Lavoravo come una matta. Facevo straordinari, lavoravo di sabato, mi portavo il lavoro a casa. Mangiavo male e poco. Fino a che un giorno mi sono ammalata. Il pensiero di questo bambino non mi lasciava

Maria Antonietta Freda 

Le donne che giungevano in Svizzera erano perlopiù donne giovani e nubili, reclutate da aziende svizzere – come la Migros – e impiegate soprattutto nelle fabbriche. Una volta arrivate, molte si ritrovavano a sostenere un duplice carico: il lavoro salariato e la cura della famiglia, in un contesto segnato da «isolamento e discriminazione», come ricorda Lento.

Maria Antonietta Freda e la sua famiglia

Maria Antonietta Freda e la sua famiglia

  • mattialento.pageflow.io/liberedidoverpartire.ch

Eppure, proprio da quelle difficoltà presero forma trasformazioni sociali decisive. La ricercatrice Francesca Falk parla di gender innovation, sottolineando come, in quegli anni, si iniziasse finalmente ad ascoltare le voci delle donne. Un cambiamento che si riflette anche nelle richieste concrete avanzate da molte di loro: «queste donne, costrette a lavorare per sopravvivere, hanno richiesto strutture di custodia per l’infanzia», commenta Lento. Gli asili nido esistevano, ma erano del tutto insufficienti per rispondere ai bisogni delle famiglie migranti. E non fu l’unico fronte su cui le donne iniziarono a farsi sentire: il Convegno della donna emigrata, svoltosi a Olten nel 1967, rappresentò l’inizio di un periodo di forte mobilitazione. Da quel momento, le italiane iniziarono a rivendicare pari opportunità tra uomini e donne, un’istruzione adeguata, servizi per l’infanzia e un ruolo riconosciuto nella vita sociale e lavorativa. Le iniziative nate dal basso contribuirono così a far emergere esigenze rimaste troppo a lungo invisibili.

La piattaforma non si limita però a guardare al passato. Vuole ricordare che l’emigrazione contemporanea non riguarda soltanto i “cervelli in fuga”, ma anche persone che, come Angela, giunta a Zurigo nel 2016 con la sua famiglia, emigrano spinte dalle difficoltà economiche seguite alla crisi del 2008, alla ricerca di una vita più stabile e serena.

Ricordare tutto questo è fondamentale. Ricordare il dolore delle separazioni, la crudeltà di leggi che costringevano le madri a vivere lontane dai propri bambini, i diritti negati, il lavoro eccessivo, la fatica quotidiana. Ricordare per comprendere l’oggi, per restituire giustizia al passato. Ma ricordare significa anche riconoscere il valore di chi, nonostante tutto, ha saputo costruire ponti, famiglie e comunità in un Paese che, forse, avrebbe dovuto offrire loro maggiore dignità.

16:48
immagine

Libere di dover partire

Alphaville 17.12.2025, 11:05

  • iStock
  • Barbara Camplani
Alphaville

Accedi a tutti i contenuti di Alphaville

Correlati

Ti potrebbe interessare