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Make Eugenics Great Again?

Occhi azzurri e jeans blu: la pubblicità di American Eagle scatena accuse su un ritorno all’eugenetica e divide l’opinione pubblica

  • 2 ore fa
Sydney Sweeney has great jeans
  • Imago
Di:  Emanuela Musto 

Sydney Sweeney, strategie di marketing, doppisensi linguistici e ideologie suprematiste: questi gli elementi chiave al centro del dibattito che ha infuocato il web nelle ultime settimane.

Tutto è partito da una pubblicità. La telecamera scorre sinuosa lungo le gambe della bellissima attrice di Euphoria che si abbottona la patta dei pantaloni e sussurra sensualmente: «I geni vengono trasmessi dai genitori ai figli e determinano caratteristiche come il colore dei capelli, la personalità e il colore degli occhi. I miei jeans sono blu». La clip si conclude con la scritta Sydney Sweeney has great jeans (Sydney Sweeney ha dei fantastici jeans) firmata American Eagle.

La pubblicità fa leva sul calembour jeans/genes che in inglese hanno la stessa pronuncia. L’allusione ai “fantastici” geni di Sydney Sweeney che presenta capelli biondi, carnagione chiara e occhi azzurri non è passata inosservata. Il pubblico americano si è subito diviso. Se da un lato c’è chi sostiene che si tratti solo di una pubblicità per vendere la nuova linea di pantaloni dell’americanissimo brand di denim, dall’altro si sono alzate voci di biasimo e accuse di un ritorno all’eugenetica e a un’estetica che strizza l’occhio alla supremazia bianca.

Di questo parere è stata Sayantani DasGupta, professoressa della Columbia, che su TikTok ha detto: «È una testimonianza di questo momento storico, che contribuisce a rinforzare una politica anti-immigrazione, anti-persone di colore e pro eugenetica.» Un post che ha raccolto oltre 3 milioni di visualizzazioni e rappresenta perfettamente il pensiero della comunità woke (termine che indica una accresciuta consapevolezza verso le ingiustizie sociali, in particolare il razzismo e le disuguaglianze di genere).

D’altro canto, la destra statunitense si è dimostrata entusiasta della pubblicità. Lo stesso Donald Trump dopo aver scoperto che l’attrice era repubblicana le ha mostrato sostegno sul suo profilo di Truth «Sydney Sweeney, una repubblicana registrata, ha la pubblicità più calda in circolazione. Vai a prenderli, Sydney!» aggiungendo che essere woke è da perdenti.

Anche il figlio del presidente ha cavalcato l’onda postando su Instagram una foto del padre generata dall’IA in cui il presidente posa in un completo total jeans scrivendo «Donald is so hot right now!!!» (Donald in questo momento è davvero figo!!!). 

La Sweeney non si è espressa sulla questione, a differenza di American Eagle che dopo aver tolto il video dai suoi social media, ha precisato in un post che la pubblicità «Riguarda e ha sempre riguardato i jeans. I suoi jeans. La sua storia. Continueremo a celebrare il modo in cui tutti indossano i jeans American Eagle con sicurezza. I jeans fantastici stanno bene a tutti». Dopo la pubblicazione dello spot, l’azienda ha registrato un incremento dei profitti pari al 23%, registrando il miglior risultato dal 2020.

Eugenetica

Forse non tutti hanno familiarità con il concetto di eugenetica e le sue derive sociali. Il termine venne coniato nel 1883 da Francis Galton (cugino di Charles Darwin) per indicare una “scienza” che, attraverso la selezione di tratti genetici considerati desiderabili, puntava al miglioramento della specie umana. Secondo Galton l’intelligenza, la moralità e persino il successo sociale erano delle caratteristiche ereditate. L’ideologia si divideva in eugenetica positiva e negativa favorendo la riproduzione degli adatti e scoraggiando quella degli inadatti.

Praticata fin dall’antica Grecia, l’eugenetica moderna si diffonde nel XX secolo partendo dal Regno Unito per poi espandersi negli Stati Uniti, Canada e in grand parte dell’Europa. L’intento di migliorare la qualità delle risorse genetiche si tradusse anche nel divieto di matrimoni interraziali, mescolanza razziale e sterilizzazione obbligatoria per persone con disabilità, deficit cognitivi, criminali, devianti e gruppi minoritari (da qui l’associazione con la Germania nazista).  

Sebbene dopo la fine della Seconda guerra mondiale, con la proclamazione universale dei diritti dell’uomo, le politiche eugenetiche vennero ufficialmente screditate e parzialmente abbandonate. Eppure alcuni paesi, tra cui gli Stati Uniti, continuarono a praticare la sterilizzazione forzata fino a metà degli anni ‘60.

Tra gli anni ‘80 e ‘90 si temette un ritorno alle idee e pratiche eugenetiche con l’avvento di procedure tecnologiche di riproduzione assistita come la surrogazione di maternità (disponibile dal 1985), la diagnosi genetica pre-implantazione (1989) e il trasferimento citoplasmatico (eseguito per la prima volta nel 1996). Hanno sollevato preoccupazione anche la clonazione umana, la diagnosi genetica prenatale di malattie, l’interruzione di gravidanze con “feti difettosi”, la selezione dell’embrione e l’ingegneria genetica.

Negli ultimi anni le sue influenze ideologiche sembrano essere riemerse sotto nuove fattezze, mascherate da discorsi su “merito”, “ordine” e “valori tradizionali”. Negli Stati Uniti, nel corso delle amministrazioni di Trump (soprattutto la seconda) alcuni interventi hanno sollevato preoccupazioni su una deriva eugenetica sotto forma di biopolitica selettiva in cui l’accesso ai diritti e alle risorse è subordinato a criteri di “valore sociale” escludendo in maniera sistemica gruppi considerati “non meritevoli”. Un chiaro esempio è l’Ordine Esecutivo 14151 che ha smantellato programmi federali dedicati alla diversità, equità e inclusione colpendo duramente la ricerca clinica e sociale su minoranze e disabilità. Anche le attuali politiche migratorie che prevedono la negazione della cittadinanza a figli di migranti irregolari e il divieto di ingresso negli Stati Uniti a cittadini di paesi africani e musulmani hanno allarmato studiosi e attivisti. 

30:37

Falò Eugenetica 11.11.10

Tutti i servizi 01.01.2014, 13:15

Ma torniamo alla pubblicità. Se da un lato, una parte dell’opinione pubblica legge nella campagna un pericoloso richiamo a retoriche e simboli legati alla supremazia bianca; dall’altro, c’è chi vi vede solo una strategia pubblicitaria come tante. Indipendentemente dalle opinioni contrastanti, il caso American Eagle dimostra come la pubblicità, nell’era della polarizzazione digitale, non sia mai un gesto neutro. Un semplice gioco di parole, pensato per vendere un paio di jeans, può trasformarsi in detonatore di dibattiti sulla memoria storica, sulle estetiche dominanti e sulla rappresentazione del corpo. In un contesto iperconnesso, dove ogni immagine è destinata a essere sezionata e reinterpretata, il confine tra marketing e discorso pubblico si assottiglia. Finché il nostro ecosistema mediatico continuerà a premiare l’attenzione sopra ogni altra cosa, i marchi saranno inevitabilmente tentati di giocare sul filo del rasoio con il rischio, e forse anche l’obiettivo, di trasformare un paio di jeans in un caso nazionale. Le campagne più incisive sono quelle che riescono a toccare corde sensibili, consapevolmente o meno. Il rovescio della medaglia è che ogni messaggio rischia di trasformarsi in un prisma di significati imprevisti, capace di amplificare tensioni sociali e di ridefinire, nel bene e nel male, il ruolo stesso della pubblicità nella nostra società.

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