Gaming Culture

Super Mario è il centro dell’universo del videogame

40 anni fa esatti usciva in Giappone il primo Super Mario Bros. Da un’intuizione di Shigeru Miyamoto nasceva un personaggio tanto ordinario quanto eccezionale

  • Oggi, 12:00
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Shigeru Miyamoto e Super Mario, 2016

  • IMAGO / Kyodo News
Di: Michele R. Serra 

Sarà pure un particolare insignificante, ma. Se uno sa fare una cosa molto bene e si chiama Mario, è solo questione di tempo: prima o poi, qualcuno inizierà a chiamarlo Super Mario. Era Super per gli italiani il Balotelli che prendeva a pallate la Germania all’Europeo di calcio del 2012. Ma pure i tedeschi avevano il loro Super Mario, sempre nel calcio: Basler, star del Bayern Monaco. Era Super, per i canadesi, il Lemieux che alzava Stanley Cup a ripetizione nei primi anni Novanta, nell’hockey. C’è chi ha trovato esempi in molti altri sport, dai motori alle arti marziali miste, ma il punto è: Super Mario lo capiscono tutti. Perché Super Mario – quello vero, quello dei videogame – è patrimonio comune dell’intero mondo globalizzato, un oggetto culturale ormai rarissimo, ai tempi della frammentazione, delle bolle, delle nicchie.

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Mario, superstar dei videogame

RSI Archivi 26.10.1994, 12:34

Qualche anno or sono, la Lucasfilm si era presa la briga di calcolare il numero di biglietti venduti nei cinema di tutto il mondo dalla saga di Star Wars, e la cifra superava abbondantemente il miliardo. Aggiungendo un altro miliardo di spettatori in versione home video (per non parlare della pirateria), si arrivava a pensare che fosse statisticamente difficile incontrare qualcuno che non avesse mai visto Star Wars.

Ma al di là di chi l’ha effettivamente visto o meno, è impossibile che qualcuno non capisca di cosa si sta parlando, quando si parla di Star Wars. Super Mario ha la stessa fama assoluta, che per farla breve noialtri del 2025 definiamo novecentesca, semplicemente perché siamo certi che quel tipo di fama non esisterà più. Ci perdoneranno Kim Kardashian e i Labubu, Super Mario è un’altra categoria.

E anche qui, non c’è bisogno di frequentare il mondo dei videogame, per conoscerlo: anche chi non prenderebbe mai in considerazione l’idea di passare il suo tempo davanti a uno schermo, guardando Mario che salta sulla testa di simpatiche tartarughe armate, sa chi è quel tipo coi baffoni. La sua è una fama universale e trascendente, da quarant’anni.

Come tutte le storie di tale notorietà, intorno a quella principale (che peraltro quasi non esiste, ma su questo torno tra poco) fiorisce una lore di narrazioni secondarie, dentro e fuori dallo schermo. Per limitarci a quest’ultimo campo, diverse leggende ruotano, ad esempio, intorno gli uomini che crearono il mito.

15:12

Super Mario festeggia 40 anni

Prima Ora 11.09.2025, 18:00

La prima riguarda Minoru Arakawa, fondatore e presidente della Nintendo of America, che nei primi Ottanta aveva litigato con il proprietario degli uffici che l’azienda aveva affittato, per alcuni ritardi nei pagamenti e per il modo spiccio dell’uomo di trattare affari e inquilini. Raccontando di quegli scontri ai colleghi della Nintendo, Arakawa avrebbe scherzosamente osservato che l’irascibile padrone di casa assomigliava un po’ al protagonista del loro ultimo gioco arcade, Donkey Kong. Non lo scimmione, ma l’omino baffuto che doveva evitare i barili che l’animale gli lanciava addosso.

Prima, il personaggio si chiamava semplicemente “Jumpman”. E in effetti, perché mai sarebbe stato degno di un nome proprio? Ma poi, quella battuta e quella somiglianza divennero un tormentone ricorrente in ufficio (oggi potremmo dire: un meme), e così, nei giochi successivi, “Jumpman” cambiò nome di battesimo, in onore di quello del padrone di casa italoamericano Mario Segale.

La seconda leggenda riguarda Shigeru Miyamoto, forse il game designer più importante della storia, visto che, oltre che di Super Mario Bros. e Donkey Kong, è l’autore di The Legend of Zelda. Nato in provincia di Kyoto nei primi anni Cinquanta, sbatté subito la faccia sul momento più difficile per il Giappone del ventesimo secolo: nel secondo dopoguerra nessuno aveva soldi, e il piccolo Shigeru, come molti altri bambini in città, non possedeva giocattoli veri e propri. Così, appena ne ebbe la facoltà, iniziò a costruirseli da solo: marionette fatte di legno, animate su sfondi colorati ideati da lui, utili a mettere in scena spettacoli per tutta la famiglia.

Si narra che un giorno, quando aveva circa dieci anni, Miyamoto stesse giocando nei boschi vicino a casa, quando vide un buco nel terreno. Prese un lumino e scese dentro il buco, per scoprire una caverna, e da lì un passaggio che conduceva ad altre caverne. Come tubi che conducevano da un mondo all’altro. Probabile che la storia non sia vera (anche perché assomiglia stranamente a uno dei passaggi chiave de Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki…), però rende l’idea.

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Shigeru Miyamoto e Steven Spielberg, 2006

  • KEYSTONE/AP Photo/Branimir Kvartuc

Oltre la lore, le vendite e la fama, rimane la domanda fondamentale: cosa ha reso Mario tanto persistente, e ancora centrale oggi nel mondo del videogame, dopo quarant’anni? Mario ha superato indenne ogni rivoluzione videoludica, per definizione tecnica e artistica insieme: l’avvento delle console, il 16-bit, il 3D, il gioco online… è sempre stato lì, centro di gravità permanente, superando le sue stesse debolezze narrative.

Perché certo, la storia più o meno si somiglia sempre: c’è la principessa da salvare, il mondo in pericolo, il cattivo – che è quasi sempre Bowser. Eppure non serve niente di più, perché Mario non è un romanzo, un film o uno spettacolo teatrale: Mario è il prototipo del videogame, che racconta storie, sì, ma con schemi narrativi completamente diversi da quelli degli altri media; e che, soprattutto, deve funzionare prima di tutto come gioco.

A questo proposito, appare logico e coerente che lo stesso Shigeru Miyamoto fosse diplomato in disegno industriale: la vera forza di Mario non sta infatti (almeno inizialmente) in qualche geniale intuizione creativa o narrativa, quanto nella perfezione dell’architettura di gioco. Sebbene Super Mario Bros. non sia stato il primo videogioco a includere diversi livelli, ad esempio, Miyamoto aveva perfezionato il collegamento di questi livelli in un unico mondo coerente ed esplorabile. Ed è solo uno dei tanti esempi per il quale Miyamoto appare, più che un artista visionario, un artigiano instancabile.

È possibile infine, come hanno fatto notare alcuni, che a rendere Mario unico sia la sua straordinaria normalità: è solo un idraulico, e peraltro non l’abbiamo mai visto alle prese con i tubi del lavandino. Potrebbe perfino non essere neppure in grado di fare il suo lavoro. È basso, non particolarmente avvenente, né atletico.

Eppure con poche ditate sul joypad si trasforma in esploratore dell’impossibile, e si posiziona prepotentemente al centro del suo universo, tanto che ogni altro personaggio è definito principalmente dal rapporto con Mario. Di più: Mario è la misura di ogni cosa. Nei giochi della serie di Mario Kart, tanto per fare un esempio, è sempre quello con le caratteristiche più equilibrate, senza particolari punti di forza o debolezza. Chi è più veloce o più pesante, lo è rispetto a Mario.

C’è un libro di Stefano Benni che racconta dell’isola di Stranalandia, dove abita un solo umano, Osvaldo, il cui corpo rappresenta la base del sistema metrico locale: Osvaldo è alto un osvaldo, un albero è alto tre osvaldi, il mare è profondo all’incirca dieci osvaldi. E così di seguito. Mario, allo stesso modo, è unità di misura imprescindibile del suo mondo.

Si potrebbe dire che incarna l’illusione di ogni uomo (e potremmo aggiungere: di ogni maschio, bianco, adulto, con un ruolo ben definito nella società borghese), convinto di essere un sole attorno a cui ruota tutto il resto, nonostante la sua mediocrità. O forse le metafore non c’entrano, e semplicemente ci piacciono quei buffi funghetti. 

01:43

Buon compleanno Super Mario

RSI Info 13.09.2018, 19:39

  • RSI/Diego Medolago

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