Preistoria

Neanderthal: un mistero che ci riguarda

Le ricerche di Ludovic Slimak rivelano che l’estinzione di questa specie non fu solo un evento biologico, ma una chiave per comprendere la nostra fragilità di sapiens

  • Ieri, 16:32
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I Neandertal tra noi (3./5)

Alphaville: i dossier 08.10.2025, 11:30

  • iStock
  • Mattia Pelli e Yari Bernasconi
Di: Alphaville/camel 

«Le teorie classiche – i cambiamenti climatici, le catastrofi vulcaniche, le malattie – descrivono un collasso fisico, ma non spiegano l’intera portata del fenomeno. L’estinzione dei Neanderthal ci riguarda direttamente, perché parla di noi».

Sono le parole di Ludovic Slimak, uno degli archeologi più originali e acuti della paleoantropologia contemporanea, intervistato da Yari Bernasconi sulla scomparsa dell’Homo neanderthalensis, classificato dal geologo irlandese William King nel 1864. Una specie umana molto vicina all’Homo sapiens, vissuta durante il Paleolitico medio, tra circa 200.000 e 30.000 anni fa.

Per Slimak – direttore di missioni di scavo in diverse aree europee e mediorientali e studioso delle prime umanità, dal Neanderthal al Sapiens – l’estinzione dei Neanderthal non fu un evento improvviso, ma un processo lungo e complesso. Nella sua trilogia dedicata alle origini dell’uomo (Néandertal nu, Le Dernier NéandertalienSapiens nu), l’archeologo francese esplora i Neanderthal, i Denisova e altre specie ancora in parte ignote, rivelando come «queste popolazioni non differissero da noi soltanto per cultura, ma per strutture mentali, per la forma del cervello, per i modi in cui percepivano la realtà».

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Il mistero dell'uomo di Denisova

Il giardino di Albert 13.09.2025, 17:00

  • ©2022 – Galaxie Presse

Proprio in questo senso, un recente studio pubblicato sulla rivista specialistica Evolutionary Anthropology (frutto di un progetto condiviso tra un’équipe della Sapienza di Roma, l’Istituto italiano di paleontologia umana e l’Università di Pisa) riporta al centro della ricerca scientifica la morfologia dei Neanderthal, offrendo una lettura funzionale e integrata della loro evoluzione. Analizzando oltre cinquanta tratti anatomici distribuiti in dieci regioni corporee e più di duecento pubblicazioni specialistiche, gli studiosi hanno infatti ricostruito il legame profondo tra struttura cranica, postura e adattamento ambientale, restituendo un quadro dinamico dell’evoluzione neandertaliana. Questa morfologia non fu però soltanto l’esito di una straordinaria capacità di sopravvivenza in ambienti ostili, ma anche la chiave per comprendere perché lo sviluppo cognitivo e comunicativo di questa specie prese una direzione diversa da quella dell’Homo sapiens.

Studiare quelle umanità significa dunque affrontare una sfida estrema: «Se già è difficile comprendere noi stessi oggi - continua Slimak - come possiamo immaginare la visione del mondo di un Neanderthal di centomila anni fa? È un’impresa quasi impossibile, ma dobbiamo provarci».

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Studio di morfologia funzionale pubblicato su "Evolutionary Anthropology”, immagine stampa (03.09.2025).

  • Sapienza Università di Roma

Il documentario L’ultimo Neanderthal (Arte, 2024), diretto da Pascal Cuissot e tratto dal libro omonimo di Slimak (uscito in italiano per Feltrinelli nel 2024), racconta le straordinarie scoperte della Grotta Mandrin, nel sud della Francia, che l’archeologo dirige dagli anni Novanta. «La grotta sovrasta la valle del Rodano e conserva testimonianze umane per un arco di circa ottantamila anni», spiega Slimak. «È come avere dodici Pompei sovrapposte: ogni livello è una fotografia fossilizzata della vita umana, protetta dai depositi di sabbia e limo portati dal maestrale».

La posizione della valle del Rodano, unico corridoio naturale tra l’Europa mediterranea e quella continentale, si è rivelata decisiva: «Qui abbiamo scoperto i più antichi insediamenti di Homo sapiens dell’Europa continentale, insieme a popolazioni di Neanderthal del tutto sconosciute». Le analisi genetiche dei resti – tra cui un corpo eccezionalmente conservato scoperto nel 2015 e battezzato “Thorin” (uno degli ultimi re dei Nani) in omaggio a Tolkien – hanno rivelato l’esistenza di un gruppo di Neanderthal isolato e geneticamente distinto dagli altri finora noti. «Questo ci obbliga a rivedere la narrazione tradizionale secondo cui i Sapiens avrebbero semplicemente sostituito i Neanderthal», afferma Slimak. «Le popolazioni del Rodano mostrano una storia più complessa, fatta di incroci, sopravvivenze e diversità inaspettate».

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Grotte Mandrin, regione dell'Alvernia-Rodano-Alpi.

Dopo trecentomila anni di adattamento perfetto ai più diversi ambienti, questa umanità piena e intelligente scomparve senza lasciare eredi. «È un enigma che ci costringe a guardare il nostro futuro», osserva Slimak. «Il Sapiens, con tutta la sua tecnologia e la sua intelligenza, non è immune dallo stesso destino. Studiare i Neanderthal significa interrogarci sulla nostra vulnerabilità e sulla possibilità della nostra stessa fine».

Comprendere ciò che accadde allora significa, in ultima analisi, capire chi siamo noi oggi. La sfida è restituire una voce alle umanità perdute, riconoscendo attraverso di esse i limiti e le potenzialità della nostra specie. «Non possiamo teorizzare l’estinzione di un’umanità senza riflettere su noi stessi — conclude Slimak — perché è proprio nel tentativo di capire ciò che è scomparso che si gioca la nostra capacità di restare umani».

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