Il castagno (Castanea sativa Mill.), da secoli compagno fedele delle popolazioni alpine, sta vivendo un destino paradossale sui due versanti delle Alpi. A sud, in regioni come il Ticino e il Piemonte, la sua presenza è minacciata da stress climatici e fitopatologie. Diventato nel tempo albero forestale e componente importante di molti boschi di protezione contribuisce grandemente alla sofferenza delle nostre foreste sotto la pressione dei mutamenti climatici.
Le mille facce del bosco
Prima Ora 29.10.2025, 18:00
Al nord delle Alpi — in Svizzera tedesca, Austria e Germania meridionale — il clima sempre più mite sta stimolando l’interesse dell’uomo per questa specie iconica. D’altra parte, il castagno è un albero le cui sorti sono sempre state legate a doppio filo con quelle dell’essere umano, soprattutto con il destino dei Romani. Infatti, il castagno si è diffuso in tutti i territori calpestati dalle legioni e poi sottomessi all’Impero. Il castagno, prima ancora di essere coltivato come albero da frutto, lo fu dai Romani perché eccellente fornitore di paleria per fortificazioni e recinzioni. Il castagno cresce velocemente, forma fusti diritti e il suo legno è praticamente imputrescibile. Tutte caratteristiche apprezzate dal genio militare romano. Scomparso l’Impero Romano, il castagno in Svizzera è rimasto nelle regioni a lui congeniali: a sud delle Alpi su terreni acidi, dove diventa anche albero forestale, ma anche in alcune zone circoscritte a nord delle Alpi. Nel frattempo, gli uomini hanno sempre di più valorizzato i suoi frutti, procedendo agli innesti e coltivandolo in boschi dedicati: le selve castanili.

Selva castanile a Fully (VS)
Per capire quale sia realmente la portata di questa dualità di destini del castagno che si manifesta a sud e a nord delle alpi, abbiamo incontrato Marco Conedera, ingegnere forestale e ricercatore del WSL, già responsabile della sede di Cadenazzo dell’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio. Oggi al beneficio della pensione, Conedera è sempre disponibile come volontario e ricercatore ospite presso lo stesso istituto.

Marco Conedera, ingegnere forestale e ricercatore del WSL
Il giardino di Albert: “Qual è la situazione del castagno nella Svizzera italiana?”
Marco Conedera: “Il nostro castagno è una monocoltura voluta dall’uomo e da sempre gestita dall’uomo e sta soffrendo per due motivi principali. Innanzitutto, l’uomo non lo gestisce più perché non è più interessato ai suoi prodotti e quindi c’è una tendenza all’abbandono e all’invecchiamento dei castagneti. Questo è soprattutto grave nei cedui castanili, che di solito sono anche dei boschi di protezione sopra gli abitati. Qui le ceppaie tendono più facilmente a invecchiare e quindi poi a cadere. Anche nei castagneti da frutto i problemi nascono dall’abbandono della gestione: le selve si inselvatichiscono. Entrano delle specie forestali autoctone o anche invasive che prendono il sopravvento in quanto gli alberi da frutto innestati sono selezionati per fare gemme da fiore e non gemme da legno e non sono concorrenziali a livello di chioma. L’altro problema grosso che abbiamo sono le siccità estive combinate con le alte temperature, un fenomeno nuovo, apparso negli ultimi decenni”.

Ripido pendio ricoperto da castagni che diventano importanti per la protezione dalla caduta sassi (vicino a Soglio e Castasegna - Bregaglia)
Il giardino di Albert: “Perché il castagno è così vulnerabile?”
Marco Conedera: “In primo luogo il castagno è un po’ vittima del suo vigore. È una pianta che emette fronde imponenti coperte di foglie che necessitano di un continuo apporto di acqua. Quindi bisogna immaginare il castagno come una pompa che porta continuamente acqua alle foglie. In caso di penuria di acqua il castagno non riesce a regolare questo flusso. Quando l’apporto d’acqua si esaurisce le foglie avvizziscono e in certi casi, se permane la siccità, l’intero albero può morire. Il castagno è anche una specie molto delicata che soffre di molte malattie specifiche. Abbiamo avuto il cinipide che per fortuna si è risolto, abbiamo poi lo storico problema del cancro corticale del castagno, ma molto più subdolo e meno conosciuto è il mal dell’inchiostro che è una malattia provocata da organismi simili ai funghi che infettano le radici e che causano la morte del castagno su interi versanti”.
Vista sulle difficoltà del bosco di castagno in Ticino
Il giardino di Albert: “Esiste una soluzione per risolvere la crisi del castagno nella Svizzera italiana?”
Marco Conedera: “Una soluzione potrebbe essere quella di favorire il rinnovamento naturale del castagno. Gli alberi giovani si adattano più facilmente alle nuove condizioni climatiche. Ma, purtroppo, con la pressione di selvaggina che ci troviamo e l’appetibilità del castagno soprattutto per i cervi, risulta in certi casi praticamente impossibile procedere a questa rinnovazione se non con costose recinzioni che però ci permettono di proteggere dei francobolli rispetto all’area totale occupata dal castagno. Il risultato è che il castagno è in regressione netta. Ciò è però da considerare assolutamente naturale perché se non gestito dall’uomo, il castagno non è in grado di formare consorzi dominanti ed estesi”.

Il castagno si diffonde al nord delle Alpi
Telegiornale 27.10.2025, 20:00
Il giardino di Albert: “Ora si parla di piantare e diffondere il castagno anche a nord delle Alpi. Ma, di fatto questa specie era già presente al nord”.
Marco Conedera: “Durante la fase medievale di clima favorevole, dopo l’anno 1000, il castagno qui da noi era una fonte di nutrimento molto importante e ciò era vero anche al nord delle Alpi. Dovunque era possibile coltivare il castagno al nord delle Alpi - cioè nelle vallate soggette al favonio, nelle zone dei laghi e dove non c’è calcare attivo - sono stati impiantati dei castagneti di produzione, tant’è vero che sono conosciuti dei casi di pagamento delle decime all’Abbazia di Einsiedeln con delle castagne. Il grosso limite della diffusione al nord era fino a poco tempo fa determinato dal clima, soprattutto dalla persistenza della nebbia sull’altipiano, sommato alla costituzione del suolo. Il castagno non ama i terreni troppo argillosi e, soprattutto, non sopporta i terreni calcarei.

Il castagno non ama le nebbie persistenti al nord delle Alpi
Il giardino di Albert: “Secondo lei a nord delle Alpi si vedrà un’avanzata del castagno?”
Marco Conedera: “la presenza del Castagno oltralpe è l’eredità dell’ondata medievale, favorita dall’uomo. In parte, dove la maturazione dei frutti è buona, ci sono anche dei casi di rinnovazione in bosco, però non me la sentirei di parlare di una vera e propria espansione. Anche perché stiamo parlando di una specie che produce semi pesanti, trasportati dagli animali su distanze limitate. Certamente, potrà approfittare dell’aiuto di forestali attenti a questa specie rara al nord e che vorranno favorirla per aumentare la biodiversità dei boschi. Tuttavia, il calcare predomina al nord delle Alpi, quindi non ci sono molte località adatte allo sviluppo di questo albero. Inoltre, abbiamo visto dall’esperienza degli ultimi anni al sud delle Alpi che il castagno è una specie termofila, quindi che ama il caldo, ma non è una specie che sopporta il secco. Perciò si tratta di una soluzione a metà. Sicuramente si potrà utilizzare il castagno facendo però molta attenzione al substrato geologico della stazione scelta per l’impianto e soprattutto a patto che i mutamenti climatici, con il relativo aumento delle temperature, non abbiano risvolti troppo siccitosi al nord delle Alpi.

La ricompensa per la messa a dimora e la cura del castagno è gratificante, ma non è facile arrivare a questi risultati
Per concludere diciamo che anche in ambito urbano si guarda con interesse al castagno. Dalla sua parte c’è sicuramente il fatto di avere una crescita molto veloce e un folto fogliame. Tuttavia, proprio la produzione di molte foglie e di ricci, difficilmente decomponibili, può provocare un surplus di lavoro per la gestione del verde e qualche pericolo per pedoni e ciclisti. Insomma, anche se il castagno ha rappresentato un albero di fondamentale importanza per la nostra comunità e per tutti i popoli alpini, bisognerà affrontare i mutamenti climatici a 360 gradi, 365 giorni all’anno, senza condizionamenti del passato e soprattutto con tanta ricerca scientifica.









