Rita Baroud è una giovane giornalista palestinese, che da Gaza - dove è nata e cresciuta - ha raccontato ai media di tutto il mondo la “sua” guerra attraverso i suoi diari. Qualche settimana fa è stata una delle poche e ultime persone ad essere evacuata dalla Striscia, e ora dal suo esilio francese prosegue la sua battaglia pacifica. Combattuta attraverso le parole.
Il Telegiornale l’ha incontrata a Marsiglia, in un quartiere tranquillo immerso in una pace silenziosa che sa di salvezza, ma che per Rita ha un retrogusto amaro:
“Questo non è sopravvivere, è un modo diverso di morire. Mi dicono ‘ti sei salvata’… Ma come posso salvarmi mentre a Gaza il genocidio continua e la mia gente è ancora là? Durante l’evacuazione mi sentivo in colpa, mi chiedevo se meritassi una tale fortuna. Sapevo che sarei andata al sicuro, ma stavo lasciando la mia casa in una situazione tutt’altro che normale. Parliamo di due milioni di persone senza via d’uscita, senza cibo, senza nulla. Gaza è una grande prigione. Sono stanchi, esausti. Se chiedi loro cosa provano, risponderanno che non provano nulla; vogliono solo andarsene. Perché non c’è più vita là. È l’inferno. Affamano la gente, impediscono agli aiuti di entrare, e poi si punta il dito contro gli abitanti perché assaltano i convogli e rubano gli aiuti? Sono loro che creano tutto questo, la gente di Gaza non è così. Siamo diversi”.
Anche da qui, da Marsiglia, Rita continua ad essere la voce da Gaza:
“Mi sento impotente, ho bisogno di fare qualcosa, ci provo e l’unica cosa che posso fare è scrivere, è parlare di ciò che sta succedendo. Gli europei pensano che organizzando festival, cantando e ballando per Gaza, possano aiutarci, pensano sia quello che ci aspettiamo. Ma Gaza non ha bisogno di canzoni e musica, ma di azioni concrete. Il futuro? Non ci penso, è più grande di me. Adesso aspetto solo che il massacro finisca ed è la cosa a cui tutti dovremmo pensare: come fermare il genocidio”.
Rita racconta molto altro dei suoi 22 anni vissuti a Gaza, della sua infanzia, di un luogo in cui la povertà e la polvere delle macerie non cancellano il profumo di casa. Ma cosa le manca di più della sua casa?
“Forse il mare, il mio posto preferito… non è propriamente Gaza, è ciò che racchiude. È un amore incondizionato quello tra te e Gaza: la puoi lasciare, ma lei non lascia te. Ho sempre detto ‘voglio andarmene, voglio lasciare Gaza’, ma ora voglio tornarci”.