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Genocidio, ecco cosa significa

Si torna a parlarne riguardo a Gaza: significato, definizione e storia del “crimine senza un nome” che non esisteva prima del 1948, perché è difficile provarlo, e le poche condanne pronunciate finora

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Se la popolazione di Gaza è vittima di un genocidio lo dovrà dire un giudice

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Di: Stefano Pongan 

Israele sta commettendo un genocidio nella Striscia di Gaza? Domanda oggetto di dibattito sia nell’opinione pubblica che fra esperti e politici e alla quale - a scanso di equivoci - non ci si propone qui di dare una risposta, che spetterà un giorno a un tribunale. Per discuterne con cognizione di causa, tuttavia, bisogna partire dalla domanda di base: cosa è un genocidio, considerato il più grave di tutti i crimini? E spazzare via sin da subito una convinzione errata: un genocidio non implica per forza l’eliminazione totale (e nemmeno l’intenzione di procedere a un’eliminazione totale) degli individui che compongono un popolo, un’etnia o una comunità religiosa.

La parola non esisteva prima della Seconda guerra mondiale

Il termine – dal greco “genos” (stirpe) e dal suffisso -cidio che deriva dal latino “caedere” (uccidere) - non esisteva fino alla Seconda guerra mondiale. Winston Churchill non a caso parlava del “crimine senza un nome”. A coniarlo (in inglese, “genocide”) fu un giurista ebreo, Raphael Lemkin, nato nel 1900 in una città che allora era parte della Russia imperiale, poi diventata polacca e oggi Vaukavysk, in Bielorussia. Fuggito dal nazismo, fu autore del libro “Axis Rule in Occupied Europe” nel 1944.

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Raphael Lemkin in una foto d'epoca: a lui si deve il termine genocidio

Definì il genocidio come “la distruzione di una nazione o di un gruppo etnico”. Il genocidio, scrisse, “è diretto contro un gruppo nazionale come entità, le azioni sono rivolte contro individui non in quanto tali, ma in quanto membri di un gruppo nazionale”. Lemkin si riferiva nella sua opera al più conosciuto degli stermini della storia recente, quello commesso ai danni degli ebrei europei dalla Germania nazista, ma il suo interesse per il tema era nato già in precedenza, studiando il massacro degli armeni sotto l’Impero ottomano tre il 1915 e il 1923.

La Convenzione e la definizione nel 1948

Lemkin si batté per il riconoscimento del genocidio come crimine internazionale e il termine approdò già nell’atto di accusa del processo di Norimberga, ma non nel senso formale come capo di imputazione. Questo perché nel diritto internazionale ha trovato spazio solo qualche anno dopo, nella “Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio” adottata il 9 dicembre 1948 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, entrata in vigore nel 1951 e ratificata ad oggi da 153 Stati membri dell’ONU (compresi Israele e tutte le maggiori potenze, ultimo in ordine di tempo lo Zambia). Una quarantina di Stati dell’ONU non lo hanno siglato. Non per questo i loro dirigenti e cittadini godrebbero di impunità se si macchiassero di questo crimine: il divieto di genocidio è considerato parte del diritto internazionale consuetudinario, vincolante per tutti gli Stati indipendentemente dal fatto che abbiano o meno firmato un trattato.

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L'assemblea generale dell'ONU approvò la Convenzione contro il genocidio nel 1948. Il Palazzo di vetro era stato inaugurato da pochi mesi

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Ma cosa dice questa definizione, poi ripresa nello Statuto di Roma che nel 1998 ha dato vita alla Corte penale internazionale?

“Nella presente Convenzione”, si legge, “per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso:

a) uccisione di membri del gruppo;

b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;

c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;

d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo;

e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro”.

Sono punibili il genocidio stesso, sia in tempo di pace che di guerra, l’intesa mirante a commetterlo, l’incitamento diretto e pubblico a commetterlo, il tentativo e la complicità e possono essere condannati tanto gli autori materiali, funzionari pubblici o individui privati, che i “governanti costituzionalmente responsabili”.

La definizione è rimasta immutata in questi decenni, malgrado da più parti siano state avanzate proposte di modifica (per esempio per includere esplicitamente l’elemento oggi assente di “genocidio culturale”, quando una cultura o una lingua vengono repressi e soppressi, con l’assimilazione, senza necessariamente il ricorso all’eliminazione fisica).

Genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra

Giuridicamente la fattispecie – che in Svizzera è riconosciuta dall’inizio di questo secolo - si distingue dai crimini di guerra (“gravi violazioni della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949” come per esempio omicidio volontario, tortura, distruzione di beni non giustificata da necessità militare o compiute su larga scala o arbitrariamente, cattura di ostaggi, detenzione illegale, attacchi volontari contro popolazioni o beni civili, contro strutture religiose o contro missioni di soccorso umanitario,…. e l’elenco è ancora lungo) e dai crimini contro l’umanità, che possono essere omicidi, deportazioni, imprigionamenti, torture, stupri, persecuzioni, apartheid, sparizioni forzate, ... “se commessi nell’ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili”.

La distinzione, nonostante la definizione breve e in apparenza chiara di genocidio, non si è sempre rivelata di facile applicazione: da un lato per la premessa, ovvero l’intenzione, da provare, di distruggere in tutto o in parte il gruppo che è vittima di crimini. Dall’altro per la definizione stessa di questo gruppo.

Lungi da noi l’idea di sminuire la gravità di altri crimini, che possono causare incommensurabili sofferenze e un enorme numero di vittime, anche senza rientrare in questa specifica casistica.

Oltre al caso emblematico della Shoah, sono numerosi i possibili genocidi citati nella storia ma molti meno – perlomeno nella storia recente – quelli sui quali esiste un consenso generale a livello internazionale. A livello politico, il dibattito è spesso influenzato da alleanze o dal momento storico e il termine qualche volta viene utilizzato – perché colpisce – con una certa disinvoltura e in modo non aderente alla definizione giuridica.

Il citato sterminio degli armeni, per citare un esempio, è riconosciuto ufficialmente come genocidio da una trentina di Paesi (dalla Svizzera nel 2003). Ma non ci sono sentenze, visto che precede l’esistenza e la definizione giuridica stessa del termine.

Condanne penali internazionali per tre genocidi

La giurisprudenza è legata quindi ad anni più recenti, dopo la creazione dei tribunali speciali dell’ONU per i crimini commessi nell’ex Iugoslavia e in Ruanda (rispettivamente nel 1993 e nel 1994) e poi della già citata Corte penale internazionale (con il trattato di Roma del 1998, in vigore dal 2002).

Sono tre gli eventi riconosciuti come genocidi dalla giustizia penale internazionale attraverso sentenze che ne hanno condannato dei protagonisti per questo capo di imputazione. Il primo è quello del Ruanda, l’uccisione di quasi un milione di tutsi ad opera degli hutu nel 1994. Jean-Paul Akayesu, ai tempi sindaco di un villaggio ruandese, nel 1998 fu la prima persona condannata per questo crimine.

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Il ruandese Jean-Paul Akayesu, il primo condannato per genocidio, nel 1998

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Il secondo caso riguarda la guerra nell’ex Iugoslavia: la procura della Corte internazionale, guidata dalla ticinese Carla Del Ponte, chiese la condanna per genocidio non solo di Ratko Mladic e Radovan Karadzic, rispettivamente la guida militare e quella politica dei serbi di Bosnia, ma anche per altri imputati, ottenendo sei condanne per il più grave di tutti i crimini. Prima fra tutte, in ordine di tempo, quella di Radislav Krstic, il comandante delle forze militari serbo bosniache in occasione del massacro di Srebrenica del 1995.

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Radislav Krstic, in primo piano, e Radovan Karadzic alle sue spalle: condannati per genocidio del Tribunale penale internazionale per l'ex Iugoslavia

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Per i giudici dell’Aia, c’era quindi una logica genocida dietro l’uccisione di oltre 7’000 musulmani nella località della Bosnia orientale, e non importa se non venne toccato l’insieme della popolazione ma solo i maschi.

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Il monumento con i nomi del genocidio di Srebrenica, a Potocari in Bosnia

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Da ultimo c’è il caso della Cambogia alla fine degli anni ’70, il regime di terrore instaurato dagli khmer rossi. Il Tribunale sostenuto dall’ONU riconobbe la qualifica di genocidio nei confronti delle minoranze vietnamita e cham, nel condannare nel 2018 Khieu Samphân e Nuon Chea, due leader degli khmer rossi sopravvissuti fino al momento della sentenza. Nuon Chea morì l’anno seguente, per Khieu Samphân arrivò nel 2022 anche la conferma della condanna in appello.

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Khieu Samphân in tribunale nel 2018

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Il caso del Darfur

Il caso del Darfur illustra le difficoltà, anche per gli stessi giuristi, di stabilire quando vada applicata o meno la definizione di genocidio. Nella regione sudanese, dove ancora oggi è in corso “la più grande crisi umanitaria del mondo” (lo dice anche l’ONU), dal 2003 centinaia di migliaia di persone sono morte o hanno subito violenze e milioni sono state sfollate. Vittime principali, le etnie non arabe dei Fur, dei Masalit e degli Zaghawa, autori soprattutto i miliziani Janjaweed appoggiati dal Governo (arabo e musulmano) di Khartum. Nel 2004 una commissione di inchiesta delle Nazioni Unite presieduta dal giurista italiano Antonio Cassese arrivò alla conclusione che si dovesse parlare di crimini contro l’umanità e solo di questi, e di crimini di guerra, era accusato il presidente sudanese Omar al Bashir al momento del primo mandato d’arresto spiccato contro di lui dalla Corte penale internazionale, il 4 marzo del 2009.

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Il presidente sudanese Omar Hassan Ahmed al Bashir (qui nel 2010) è ricercato dalla Corte penale internazionale per genocidio

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L’accusa di genocidio venne aggiunta solo in occasione di un secondo mandato d’arresto, l’anno seguente. Oggi si tende a considerare quello del Darfur un genocidio, ma una sentenza sul caso manca ancora: al Bashir è in fuga, non è mai stato arrestato, e la CPI non può processare in contumacia.

Netanyahu e Gallant non sono ricercati per genocidio

E veniamo a quanto accade a Gaza. Al Bashir è l’unico ricercato per genocidio dalla Corte dell’Aia. Come noto il Tribunale ha spiccato il 21 novembre scorso mandati di arresto internazionali contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’ex ministro della difesa Yoav Gallant e il capo del braccio armato di Hamas Mohammed Deif (però già deceduto). Le accuse per loro sono tuttavia di crimini di guerra e contro l’umanità, commessi nella Striscia fra l’8 ottobre del 2023 e il 20 maggio 2024, data in cui la procura diretta da Karim Khan le ha formulate. I mandati sono oggetto di un riesame per motivi non di contenuto ma di competenza giurisdizionale: Israele non ha mai aderito alla Corte, la Palestina sì (nel 2015) ma il problema è il suo riconoscimento in quanto Stato.

02:17

Mandato contro Netanyahu, il parere dell'esperto di diritto

Telegiornale 21.11.2024, 20:00

L’accusa del Sudafrica contro Israele

Un’accusa di genocidio contro Israele è stata formulata il 29 dicembre 2023 dal Sudafrica di fronte alla Corte internazionale di giustizia, che a differenza della CPI dirime vertenze fra Stati e non processa individui. Secondo Pretoria, che ha difeso la propria posizione all’Aia l’11 gennaio del 2024, “gli atti e le omissioni di Israele rivestono carattere di genocidio perché accompagnano l’intento specifico richiesto di distruggere i palestinesi di Gaza”. Accuse che Tel Aviv aveva respinto al mittente il giorno seguente.

03:54

RG 07.00 del 11.01.2024: La guerra di Gaza approda all’Aia

RSI Info 11.01.2024, 07:21

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Il 26 gennaio 2024, la Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha quindi ordinato a Israele di prendere misure per prevenire atti di genocidio nella Striscia di Gaza, di punire chi incita a commetterne uno, di presentare rapporto ai giudici entro un mese sui provvedimenti adottati e di preservare le prove di quanto sta accadendo. Il 28 marzo aveva ordinato altre misure provvisorie, in particolare di “garantire un’assistenza umanitaria urgente” e il 24 maggio di mettere fine all’offensiva a Rafah “che potrebbe infliggere sul gruppo palestinese a Gaza condizioni di vita che potrebbe portare alla loro distruzione fisica, del tutto o in parte”.

Queste decisioni – vincolanti sulla carta ma disattese nella pratica – significano che la Corte considera l’ipotesi del genocidio plausibile.

Chi e con quali argomenti sostiene che si tratta di genocidio?

Quali elementi vengono portati a sostegno di questa tesi? Di genocidio parla apertamente un’ONG come Amnesty International in un rapporto pubblicato in dicembre: evidenzia fra le altre cose le “dichiarazioni disumanizzanti” di dirigenti israeliani nei confronti dei palestinesi, definiti “animali umani” dal già citato ex ministro della difesa Yoav Gallant sull’onda dell’emozione del 7 ottobre, ma anche più recentemente “feccia, subumani” dal vicepresidente della Knesset Nissim Vaturi, che invitava ad eliminare gli adulti maschi. Di genocidio parla anche Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per i territori palestinesi. E in un rapporto pubblicato il 13 marzo a Ginevra dalla Commissione di inchiesta internazionale sulla situazione nei Territori palestinesi e in Israele, un gruppo di inquirenti indipendenti delle Nazioni Unite denunciava crimini di guerra e contro l’umanità e sottolineava due fattispecie che rientrano nella definizione di atti genocidari: l’attacco contro una clinica della riproduzione che conservava gli embrioni di donne di Gaza e la “sottomissione intenzionale” di un gruppo etnico a condizioni di esistenza che “portano alla sua distruzione fisica”, attraverso anche il blocco degli aiuti umanitari. 

Per la risposta dei giudici potrebbero volerci anni

Tuttavia, i tempi perché i giudici si pronuncino sul fondo della questione, ovvero se Israele sta o meno violando la convenzione che ha sottoscritto nel 1950, saranno lunghi. Ci vorranno probabilmente anni. La Corte internazionale di giustizia non si è per esempio espressa definitivamente, finora, nemmeno su un caso analogo, intentato già nel novembre del 2019 dal Gambia nei confronti del Myanmar per la persecuzione della minoranza musulmana dei Rohingya.

Un genocidio in Svizzera? Gli esperti dissero di “no”

Si è ipotizzato un genocidio anche all’interno della Svizzera: il Dipartimento federale dell’interno aveva commissionato una perizia giuridica su “Bambini della strada”, opera assistenziale nel quadro della quale nell’arco di quasi 50 anni centinaia di bambini delle comunità Jenisch e Sinti furono sottratti alle loro famiglie. Delle conclusioni, il Consiglio federale ha preso atto in febbraio: non si trattò di genocidio, si dice nel rapporto, ma di crimini contro l’umanità.

02:55

La Svizzera riconosce i crimini su Jenisch e Sinti

Telegiornale 20.02.2025, 20:00

Corte penale internazionale e Corte internazionale di giustizia: la differenza nell’approfondimento:

02:57

Gaza, lo sguardo del CICR

Telegiornale 04.06.2025, 20:00

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