La guerra in corso a Gaza sta avendo un forte impatto sulle comunità ebraiche di tutto il mondo, provocando reazioni contrastanti e una profonda crisi d’identità. È quanto emerge dalle dichiarazioni rilasciate al Telegiornale della RSI da Dario Calimani, presidente della comunità ebraica di Venezia.
“Gaza oggi è una realtà tremenda e inaccettabile”, ha affermato Calimani, sottolineando però come non si possa ignorare quanto accaduto il 7 ottobre con l’attacco di Hamas a Israele. Calimani ha evidenziato la complessità della situazione, ricordando che oltre alle “vittime innocenti” palestinesi ci sono anche “civili conniventi di Hamas”, definita un’organizzazione terroristica.
Secondo Calimani, all’interno delle comunità ebraiche le reazioni alla guerra sono molteplici e contrastanti: “C’è il distanziamento, c’è l’identificazione totale, ma anche il terrore per quello che può succedere”. Alcuni sostengono che il premier Netanyahu non abbia alternative se non quella di “sbaragliare Hamas a tutti i costi”, mentre altri, come lo stesso Calimani, non condividono questa visione.
“Siamo alla disperazione”, ha dichiarato il presidente della comunità di Venezia, descrivendo una situazione di profonda divisione interna: “Siamo spaccati di fronte a una situazione disperata per la quale non vediamo via d’uscita”.
La guerra ha avuto conseguenze devastanti non solo su Gaza, ma anche su Israele stesso. “Il terrorismo ha già cambiato Israele, anche le politiche israeliane”, ha osservato Calimani. L’impatto si è fatto sentire fortemente anche sulle comunità ebraiche nel mondo: “Se lei sapesse la crisi in cui è l’ebraismo mondiale, la crisi in cui sono cadute le comunità… una vera crisi di identità”.
Calimani ha espresso particolare preoccupazione per le ripercussioni sugli ebrei della diaspora, denunciando come le azioni del governo Netanyahu possano alimentare sentimenti antisemiti: “Si può diventare antisemiti perché Netanyahu è ciò che è? Per la politica di un governo?” si è domandato, sottolineando l’ingiustizia di questo fenomeno e chiedendosi retoricamente: “Si può odiare un intero Paese per la politica di un governo?”.