La scorsa settimana gli Stati Uniti hanno annunciato provvedimenti restrittivi contro le due maggiori compagnie petrolifere russe, Lukoil e Rosneft, nel tentativo, come dichiarato dal presidente Donald Trump, di esercitare pressioni su Mosca affinché negozi un accordo di pace in Ucraina. Nello specifico sono state congelate le attività e i beni delle due società russe negli USA, inoltre gli istituti finanziari stranieri che conducono o facilitano transazioni significative o forniscono servizi “corrono il rischio” di essere sanzionati. Sebbene la risposta del Cremlino sia stata lapidaria, con la dichiarazione che la Russia è ormai immune dalle sanzioni occidentali, la mossa della Casa Bianca rappresenta un cambiamento significativo, almeno in apparenza, nella strategia nei confronti di Mosca. Dopo l’arrivo di Trump lo scorso gennaio è infatti la prima volta che arriva un giro di vite contro il settore energetico russo, visto che solo lo scorso anno Joe Biden aveva sanzionato negli stessi termini Gazprom Neft e Surgutneftegas, altre due aziende petrolifere statali russe.

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Maggiore pressione
Contemporaneamente l’Unione Europea, che ha approvato il previsto 19esimo pacchetto sanzionatorio contro la Russia, ha annunciato il divieto di importazione di gas naturale liquefatto russo a partire dal 2027. Il capo di Stato ucraino Volodymyr Zelensky ha parlato in questo contesto di buoni segnali da parte degli alleati occidentali, ma ha aggiunto anche che una tregua sarebbe davvero possibile se altre nazioni esercitassero una maggiore pressione su Mosca, come ad esempio la Cina, uno dei maggiori importatori di petrolio e gas russo, insieme a India, Turchia e alla stessa Unione europea, che nonostante la retorica, prosegue nell’import di idrocarburi: secondo i dati di settembre forniti dal Crea (Centre for Research on Energy and Clean Air, istituto finlandese che monitora gli effetti delle sanzioni russe) sono proprio i paesi dell’UE ad importare le maggiori quote di gas, via mare e via gasdotto, dalla Russia.
Sanzioni e realtà
La questione sulle sanzioni - con il Cremlino che le affronta e le aggira ormai da più di 10 anni, da quando cioè le prime sono state comminate dopo l’annessione della Crimea nel 2014, avvenuta in seguito al cambio di regime a Kiev – è che qualunque esse siano vengono in primo luogo sistematicamente aggirate ed in secondo è molto spesso, se non sempre, impossibile farle rispettare. A questi due fattori si aggiunge il terzo, non meno importante per spiegare sia i dati numerici sia l’atteggiamento di Vladimir Putin: la forte discrepanza tra quanto viene annunciato in Occidente, le “tremende sanzioni” definite da Trump o “il colpo al cuore” inferto a Mosca dall’UE secondo la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, e la realtà.
Ultimo esempio sono appunto le misure adottate dalla Casa Bianca contro Rosneft e Lukoil, che vanno contestualizzate nel quadro dei rapporti non solo fra Russia e USA, ma anche tra questi ultimi e la Cina o l’India. Il nodo è quello delle cosiddette sanzioni secondarie, quelle cioè che andrebbero a colpire paesi terzi: non sono affatto automatiche e, benché più stringenti di quelle europee, che sino ad ora non hanno prodotto alcun effetto politico e pochi a livello economico, andranno considerate nei singoli casi. In sostanza l’impatto del giro di vite formale statunitense dipenderà in gran parte dalla severità con cui i provvedimenti saranno davvero applicati: da ciò che si è visto negli anni passati è plausibile che in ogni caso gli effetti di queste misure si vedranno nel migliore dei casi sul medio periodo, e un primo orizzonte temporale è stato fissato in qualche modo dallo stesso Trump, che di fronte alla sicurezza di Putin ha lanciato il confronto per la prossima primavera.
Il contesto internazionale
Certamente, come sottolineato anche dal Crea, se Mosca perdesse l’accesso ai mercati in Cina e India potrebbe perdere circa 7,4 miliardi di dollari di entrate mensili, ma è appunto ancora tutto da vedere. Per ora Pechino ha denunciato il “bullismo unilaterale” e la “coercizione economica” da parte dell’amministrazione USA per quelli che ha definito i suoi “legittimi” acquisti di petrolio dalla Russia e ha promesso di adottare “contromisure decise” se i suoi interessi nazionali venissero danneggiati; se il recente incontro fra Trump e Xi Jinping non è stato del tutto chiarificatore, la parntership strategica fra Pechino e Mosca non è certo a rischio. Anche sul fronte indiano al momento si attende di capire davvero quello che potrà succedere, e se Trump ha affermato che il primo ministro Narendra Modi gli ha assicurato che Delhi “non acquisterà molto petrolio dalla Russia”, poiché anche lui “vuole vedere la fine della guerra tra Russia e Ucraina”, da parte indiana non ci sono state conferme ufficiali sull’intenzione di limitare le importazioni di greggio da Mosca.

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Inoltre c’è anche un’altra faccia della medaglia: solo l’annuncio delle sanzioni statunitensi contro la Russia ha provocato un aumento del 6% del prezzo globale del petrolio. Se Rosneft e Lukoil sono state messe in difficoltà, i risvolti delle sanzioni rischiano di essere negativi non solo per il Cremlino. Innanzitutto vi è il principio generale per cui se il mercato internazionale viene condizionato e ristretto, con l’esclusione o la limitazione dei grandi player russi che contano oltre il 10% del sistema globale, è evidente che i prezzi si alzeranno con conseguenze distribuite ovunque. In secondo luogo ci sono i casi specifici, con ad esempio l’annunciata vendita di asset russi in paesi dell’Unione Europea come Bulgaria e Romania, che potrebbe causare forti scompensi in assenza di compratori.
La variante svizzera
Lukoil ha già comunque comunicato di voler passare i suoi asset esteri a Gunvor, trader energetico internazionale con sede in Svizzera controllato dal magnate svedese Torbjörn Törnqvist. Nel 1997 il cofondatore della società, insieme a Törnqvist, è stato Gennadi Timchenko, considerato uno dei fedelissimi di Putin già ai tempi di San Pietroburgo, quando l’ex agente del Kgb lavorava a fianco dell’allora sindaco della metropoli sulla Neva Anatoly Sobchak.
Nel 2014 Timchenko è finito sotto sanzioni da parte degli USA e ha venduto le sue quote di Gunvor a Törnqvist. I passaggi societari, così come le triangolazioni o altri meccanismi legali, sono gli strumenti preferiti per aggirare le sanzioni: la velocità con cui Mosca ha risposto sino ad ora alle mosse, non solo le ultime, di Washington e Bruxelles, è indice di quanto sia complicato per l’Occidente condizionare fortemente sia l’economia che la strategia in Ucraina del Cremlino.









