INTERVISTA

Ecco perché nelle proteste c’è la bandiera di un manga

Il vessillo di “One Piece” usato in diverse manifestazioni in Asia, ma anche altrove nel mondo - Il fenomeno spiegato dalla giornalista Emma Besseghini

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Kappa

Kappa 17.09.2025, 17:00

  • Marco Pagani
Di: Kappa-Marco Pagani/Pa.St. 

Un pirata immaginario che partecipa alle proteste politiche nel mondo reale. È il Jolly Roger (la bandiera dei pirati) del manga “One Piece” di Eiichiro Oda che negli ultimi mesi è stato avvistato in manifestazioni in Asia, ma anche altrove come in Francia e nei Paesi Bassi, e sulla flotta Sumud salpata verso Gaza con aiuti umanitari.

Un fenomeno che nasce dunque da un manga (diventato anche anime) che racconta le avventure del pirata Monkey D. Luffy e della sua ciurma, la cui nave ha una bandiera ben riconoscibile: un teschio che sorride con due ossa incrociate e un cappello di paglia. Ed è questo il vessillo comparso in svariate proteste.

La trasmissione Kappa di Rete Due ne ha parlato con Emma Besseghini, giornalista freelance che si occupa di cultura, disuguaglianze, ambiente e diritti, e fa parte del collettivo giornalistico comasco FuoriFuoco.

Come mai la bandiera di un fumetto o di un cartone animato è diventato l’emblema di proteste?

“La bandiera simboleggia valori come libertà, amicizia e resistenza all’oppressione. In ‘One Piece’ i pirati sono un simbolo di ribellione contro il governo mondiale, che è un organo corrotto e tiranno nei confronti della popolazione. Per questo molti giovani hanno di recente utilizzato la bandiera per manifestare il dissenso nei confronti dei loro governi”.

Come si spiega però proprio questa scelta a fronte di numerosi simboli che potrebbero allo stesso modo raccontare una storia di protesta?

“Credo che un ruolo importante lo abbiano ricoperto i social media. Le recenti proteste in Nepal sono per esempio state ampiamente documentate online e hanno avuto un forte impatto mediatico. Credo che questo possa aver ispirato manifestanti in altre parti del mondo”.

Non è la prima volta che simboli da opere di fantasia vengono adottati da movimenti di protesta.

“Sì, non è un caso isolato. I simboli da film o serie TV sono facilmente riconoscibili. Nel 2019 in Alabama delle manifestanti hanno per esempio marciato con un vestito rosso con copricapo bianco contro l’introduzione dello Human Life Protection Act, una legge molto restrittiva in materia di aborto. Erano i costumi di ‘The Handmaid’s Tale’, serie tratta da un romanzo di Margaret Atwood che narra un futuro dispotico in cui le donne sono soggiogate e utilizzate come meri strumenti riproduttivi. C’è poi l’iconica maschera di Guy Fawkes in ‘V per Vendetta’, diventata simbolo contro l’oppressione e adottata durante le proteste di Occupy Wall Street e nelle Primavere arabe. È anche il volto dell’organizzazione hacker Anonymous”.

La maschera di Guy Fawkes

La maschera di Guy Fawkes in una manifestazione a Hong Kong

  • Keystone

Il legame tra pirateria e cultura digitale potrebbe aver contribuito alla popolarità della bandiera tratta da “One Piece”?

“Penso che l’idea di pirateria sia più che altro collegata all’idea di sovvertire un ordine considerato illegittimo od oppressivo. La pirateria che da sempre viene legata ad attività illegali, nel caso delle proteste viene considerata come una rivendicazione nei confronti di un ordine che non riesce più a tutelare i diritti e gli interessi dei cittadini”.

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