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Gaza: il massacro che ha spezzato il sogno occidentale

Intervista a Omar El Akkad che racconta come la guerra in corso abbia segnato la fine della sua fiducia - Lo scrittore e giornalista egiziano-canadese denuncia l’ipocrisia di leader e istituzioni che, pur vedendo l’orrore, scelgono il silenzio

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Gaza. Un giorno tutti diranno

Laser 04.06.2025, 09:00

  • Imago Images
  • Eleonora Vio
Di: Laser/Redazione RSI Info/Diem 

L’attacco israeliano su Gaza ha segnato un punto di non ritorno per Omar El Akkad, scrittore e giornalista egiziano-canadese che ha sempre creduto nei valori occidentali. Nel suo ultimo libro “Un giorno tutti diranno di essere stati contro”, denuncia l’ipocrisia dell’Occidente di fronte al massacro in corso.

“Sento di esistere in un mondo che ha sempre meno senso per me”, afferma ai microfoni della RSI. “Sono passati venti mesi in cui ogni giorno mi sveglio vedendo le cose più orribili che si possano immaginare. E mi è stato detto dai miei leader eletti che tutto questo è giusto e necessario e deve continuare”, sottolinea, intervistato dalla trasmissione Laser di ReteDue.

Per lo scrittore, l’uso della parola “genocidio” per descrivere quanto sta accadendo a Gaza è doveroso: “Se avessi detto che in qualsiasi altra parte del pianeta c’è una situazione in cui un’intera popolazione viene sistematicamente sradicata dalla propria terra e in cui i politici si vantano della necessità di uccidere ogni uomo, donna e bambino, non credo avrebbero avuto problemi a usarla”.

L’autore di “Un giorno tutti diranno di essere stati contro” critica duramente l’atteggiamento dei politici occidentali: “Non credo nemmeno per un secondo che qualcuno dei politici che stanno iniziando a cambiare atteggiamento si sia improvvisamente reso conto che ciò che sta accadendo è negativo. Penso stiano prendendo una decisione politica calcolata, basata sulla crescente pressione dei loro elettori”.

Lo scrittore racconta come la sua identità di immigrato sia stata messa in crisi dagli eventi: “Per la maggior parte della mia vita sono stato abbastanza orgoglioso di parlare con un accento americano e di conoscere così bene la cultura della parte dell’Occidente in cui vivo. Solo di recente ho dovuto rivalutare il prezzo da pagare”.

Un episodio in particolare ha segnato El Akkad: “L’audio di Hind Rajab, la bambina di sei anni che implora per la sua vita. Ancora non riesco a superarlo. È stato l’aver sentito questo essere umano della stessa età di mia figlia supplicare che le fosse risparmiata la vita”.

Per Omar El Akkad - che nel corso degli anni ha coperto la guerra in Afghanistan, i processi a Guantanamo, la Primavera araba e le proteste del movimento Black Lives Matter negli Stati Uniti - , la resistenza al colonialismo non ha una forma corretta: “Se si resiste con la violenza, si viene tacciati subito di terrorismo. Se si resiste attraverso il boicottaggio si è illiberali. Se si resiste con la narrazione si è sottoposti a censura”.

Lo scrittore conclude con una riflessione amara: “Penso che o smantelliamo questi sistemi di sfruttamento senza fine, sistemi di colonialismo e capitalismo che legano ciò che accade in Palestina a ciò che accade in Congo e in innumerevoli luoghi del pianeta saccheggiati all’infinito, o finiremo anche noi nell’oblio”.

“Non posso guardare altrove”

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  • Keystone

Nato in Egitto, cresciuto in Qatar, Omar El Akkad si trasferisce in Canada da adolescente. Finiti gli studi diventa reporter per il quotidiano Globe Mail. Da alcuni anni vive negli Stati Uniti. L’assenza di radici è la sua essenza. “Ho lasciato il paese in cui sono nato all’età di cinque anni e da allora sono stato ospite nella terra di qualcun altro. Devo dire che per la maggior parte della mia vita sono stato abbastanza orgoglioso di parlare con un accento americano e di conoscere così bene la cultura della parte dell’Occidente in cui vivo e sono stato premiato all’infinito per questo - afferma -. Solo di recente ho dovuto rivalutare il prezzo da pagare. Se per essere la persona che sono devo far fronte all’occasionale razzismo o alla richiesta di parlare a nome di ogni arabo e musulmano, posso accettarlo. Quello che non posso sopportare è che decine di migliaia di bambini morti siano stati uccisi con i soldi delle mie tasse e che mi venga chiesto di fare il tifo per questo. O alla peggio, di guardare altrove. Non posso farlo”.

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