Le testimonianze

Israele, “difendere il mio Paese è un dovere ma a tutto c’è un limite”

Cresce il dissenso nell’esercito e un piccolo gruppo di soldati dell’IDF ha deciso di smettere di combattere - “Non è più una guerra per punire Hamas”

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Israele: non tutti vogliono andare in guerra

Telegiornale 04.09.2025, 20:00

Di: Francesco Maviglia, da Cisgiordania e Israele

Una breccia di umanità si apre all’interno delle forze di difesa israeliane. Come un sussurro, parte dal basso, dai riservisti: 50’000 soldati che proprio in questi giorni riprenderanno servizio attivo per l’offensiva a Gaza City. Tra loro, un piccolo movimento ha deciso di non presentarsi e di lasciare l’esercito.

“Il nostro gruppo è formato da membri dell’IDF che hanno partecipato alla guerra a Gaza e in Libano, la nostra esperienza al fronte ci ha convinti a opporci a questa guerra”, racconta Shaked, alle spalle 14 mesi al confine con il Libano nella 769esima brigata

Difendere Israele è un dovere, ma c’è un limite a tutto

Shaked, soldato

Lui e circa 300 compagni si sono uniti, organizzandosi tramite chat sui telefonini per darsi sostegno morale e affrontare insieme il peso della loro scelta etica. 

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Shaked Rogel

  • Francesco Maviglia

“Non sono un pacifista, il mio paese è stato attaccato, era un dovere difenderlo, e lo è ancora. Ma c’è un limite. Quando ci è stato ordinato di distruggere interi villaggi, case, infrastrutture civili, per me tali ordini erano non solo illegali per le leggi internazionali ma anche per quelle locali, questa non è più una guerra per punire Hamas, è diventata la guerra dei coloni e dell’estrema destra.”

Il loro movimento, “Soldati per gli ostaggi”, riflette le tensioni nella società israeliana moderata. Alcuni, come Shaked, denunciano apertamente i crimini contro i palestinesi, ma esporsi pubblicamente su questo tema resta difficile. La paura di ritorsioni è tangibile.

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Una conferenza stampa del gruppo "Soldati per gli ostaggi", Tel Aviv, 2 settembre

  • Francesco Maviglia

La si legge sul volto di David, nome di fantasia di questo giovane soldato che è disposto a parlare ma solo se protetto dall’anonimato:  “C’era una linea che i palestinesi non dovevano attraversare. È stato dato il comando a un mio collega di sparare, lui ha identificato i target come civili, così ha risposto al comando: ‘IO Non sparo, sono civili’.” “Sono entrato nell’esercito per la stessa motivazione per cui ne sono uscito, per fermare la morte di civili”, racconta.

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Uno dei altri ex soldati in sala di attesa prima della conferenza stampa

  • Francesco Maviglia

Mentre la pressione internazionale sul conflitto cresce, con accuse di violazioni dei diritti umani e richieste di cessate il fuoco, il dissenso di questi riservisti assume un peso ancora maggiore. In un clima di polarizzazione, la loro scelta sfida non solo gli ordini militari, ma l’intero sistema di valori di una nazione in guerra.

(In cima all’articolo, il reportage andato in onda durante il Telegiornale)

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