L’Italia, dopo oltre trent’anni di stallo e disinvestimenti pubblici, torna a guardare al sottosuolo: si riaprono le miniere. Litio, grafite e antimonio sono i minerali strategici su cui puntare, risorse chiave per la transizione ecologica e digitale. E l’Italia si prepara così a cercarli, estrarli e venderli sul mercato.
Si parte con un investimento iniziale di 3,5 milioni di euro per il progetto che segna il ritorno dell’Italia nel settore estrattivo. A coordinare la fase preliminare, che coinvolgerà 15 unità operative e circa 400 specialisti, sarà il Servizio geologico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
L’obiettivo è chiaro: provare a ridurre la dipendenza dall’estero, in particolare dalla Cina, che oggi domina il mercato globale delle cosiddette “materie prime critiche”, essenziali per batterie, microchip e tecnologie verdi.
Dal prossimo settembre si comincerà in particolare a mappare e riattivare i siti minerari dislocati in gran parte del territorio nazionale: Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Emilia-Romagna, Marche e Sardegna. Al Nord-Est si cercheranno fluorite e terre rare; al Centro litio e antimonio; al Sud grafite e minerali metalliferi.
La strada tracciata è però tutt’altro che semplice: la particolare conformazione geologica di molte zone italiane non consente infatti scavi profondi in tempi rapidi. Inoltre, il lungo disinteresse per il settore ha lasciato il Paese privo di una filiera industriale efficiente: mancano impianti per la raffinazione e la trasformazione dei materiali estratti, e si dovrà investire anche sulla formazione di competenze oggi quasi scomparse. Nonostante le difficoltà, il Governo punta su questa nuova stagione mineraria per rafforzare l’autonomia strategica del Paese.