Oltre cento all’anno. È il numero di testate nucleari che la Cina aggiunge ogni anno al suo arsenale, quantomeno a partire dalla guerra in Ucraina, da cui Pechino sembra avere tratto l’indicazione di dover accelerare il riarmo. Secondo un’analisi condotta dalla CNN su immagini satellitari e avvisi governativi, dal 2020 oltre il 60% delle 136 strutture collegate alla produzione di missili hanno mostrato segni di ampliamento. Oltre 2 milioni di metri quadrati in cui al posto di villaggi e terreni agricoli sono spuntati bunker, terrapieni e torri. La Cina Aerospace Science and Technology Corporation e la China Aerospace Science and Industry Corporation, i due colossi statali del settore, guidano questa metamorfosi industriale, trasformando aree rurali in poli dedicati alla fabbricazione di vettori balistici e missili da crociera.
Si tratta di un’ulteriore prova di quanto fotografato dall’ultimo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), secondo cui dal 2023 a oggi Pechino è passata da 400 a 600 testate, con la prospettiva di superare le 1’500 entro il 2035. Stati Uniti e Russia possiedono insieme il 90% delle testate nucleari conosciute al mondo, ma nessuno sta rafforzando il suo arsenale alla stessa velocità della Cina.
Anche per questo, di recente, Donald Trump ha paventato la possibilità di una ripresa dei test nucleari dopo decenni di stop. Il presidente degli Stati Uniti ha fatto riferimento a test condotti da Pechino, che ha negato e non accetta il richiamo a interrompere l’ampliamento dell’arsenale. “I nostri arsenali sono imparagonabili”, ha dichiarato nei giorni scorsi il ministero degli Esteri cinese. “Gli USA dovrebbero ridurre sostanzialmente il loro arsenale per favorire il disarmo”.
In sostanza, la Cina rivendica il diritto allo sviluppo e rafforzamento della propria deterrenza nucleare, avvicinando il livello di Stati Uniti e Russia. Nella prospettiva del Partito comunista, la Repubblica Popolare deve diventare una potenza alla pari di Washington e ha dunque bisogno di completare il suo ciclo di rafforzamento militare.

Il presidente Xi Jinping considera le forze armate non solo uno strumento di difesa, ma un pilastro del prestigio nazionale e della legittimità internazionale del Paese
Per la Cina, l’attuale riarmo nucleare e convenzionale rappresenta il completamento di un percorso di ascesa iniziato sul piano economico e consolidato su quello diplomatico. Dopo aver raggiunto la seconda posizione tra le economie mondiali e aver costruito una fitta rete di influenza attraverso la Belt and Road Initiative (Nuova Via della Seta), Pechino punta a trasformare la propria potenza economica in potenza militare globale. Il presidente Xi Jinping considera le forze armate non solo uno strumento di difesa, ma un pilastro del prestigio nazionale e della legittimità internazionale del Paese. Non è un caso che molti nuovi missili e dispositivi letali siano stati messi in mostra alla recente parata del 3 settembre, in occasione dell’ottantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale. In quella sede sono sfilati missili terrestri, sottomarini lanciamissili e bombardieri strategici. Vale a dire i volti della triade nucleare cinese.
La strategia nucleare cinese resta formalmente ancorata alla dottrina del “non primo utilizzo”, secondo la quale le armi atomiche avrebbero un ruolo esclusivamente deterrente e difensivo. Ma l’evidente accelerazione del programma e l’espansione delle infrastrutture collegate indicano un mutamento di percezione: il deterrente minimo che ha guidato la pianificazione per decenni non appare più sufficiente di fronte alla crescente incertezza dell’ordine internazionale. Col pensiero a Taiwan e alle dispute sul Mar Cinese Meridionale, il concetto di “deterrenza integrata” promosso da Xi riflette proprio la volontà di garantire alla Cina una gamma di opzioni di risposta più ampia, in cui il potere nucleare, convenzionale, spaziale e cibernetico si sostengono a vicenda.
Si tratta del cuore della riforma dell’Esercito Popolare di Liberazione, che prevede tappe precise: piena informatizzazione e integrazione dell’intelligenza artificiale entro il 2027 (anno del centenario delle forze armate), raggiungimento dello status di potenza militare di prima classe globale entro il 2049 (centenario della Repubblica Popolare). Per riuscirci, Xi procede su un doppio binario: aumento delle spese militari (che nel 2025 hanno raggiunto i 245 miliardi di dollari) e rimozione degli ufficiali corrotti o giudicati non leali alla leadership.

Esperimenti presso l'Accademia cinese delle scienze a Wuwei
Oltre ai cieli, contano ovviamente i mari. La flotta cinese dispone di oltre 370 navi e sottomarini ed è quantitativamente la più estesa al mondo. Nei giorni scorsi, Xi ha presenziato alla cerimonia per l’entrata in servizio della portaerei Fujian, la terza della Cina e la prima dotata di catapulte elettromagnetiche simili a quelle impiegate dalla flotta americana. Prima ancora che la Fujian fosse pienamente operativa, la Cina ha già avviato la costruzione di una quarta portaerei, il cosiddetto Type 004: sarà un ulteriore salto generazionale.
Nella visione di Xi, l’ampliamento delle forze nucleari è il perno strategico di un processo più ampio destinato a modernizzare l’esercito e rendere il Paese una potenza anche sul fronte militare. Andando dunque oltre la già evidente potenza economico-diplomatica e sancendo il passaggio della Cina allo status di superpotenza a tutto tondo.









