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L’atomo russo che sfugge alle sanzioni

Rosatom continua a collaborare con molti Stati europei e a firmare accordi per costruire nuove centrali

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Già russa la tecnologia della centrale iraniana di Bushehr. Altre seguiranno grazie a un nuovo accordo

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Di: Stefano Grazioli, giornalista esperto di Russia e paesi postsovietici 

In oltre tre anni e mezzo di guerra l’Unione Europea ha tentato di colpire l’economia russa e condizionare così la strategia del Cremlino in Ucraina attraverso il meccanismo delle sanzioni. Bruxelles ha preso provvedimenti restrittivi contro Mosca in vari campi, anche se il settore energetico, quello che mediante le esportazioni di idrocarburi incide maggiormente sulle entrate dello Stato, è stato toccato in maniera marginale, al di là delle retorica di Bruxelles che nei suoi 19 pacchetti comminanti sino ad oggi ha mostrato più le contraddizioni interne che la volontà unanime di mettere la Russia in seria difficoltà.

Così, se il settore petrolifero è stato colpito solo in parte e ci sono ancora paesi, come l’Ungheria e la Slovacchia, che importano oro nero direttamente da Mosca, quello del gas è stato solo sfiorato e alla riduzione dei flussi via gasdotti si è associato il crescente import di GNL, il gas naturale liquido, trasportato da navi cisterna. Non solo: il settore del nucleare non è stato mai sanzionato e, a causa delle molte collaborazioni del colosso statale russo Rosatom nell’UE - dalla Francia alla Germania, agli Stati della Mitteleuropa come Slovacchia, Cechia, Ungheria e Bulgaria, che sfruttano l’energia atomica ancora con reattori di costruzione sovietica - il tema ha sempre coperto uno spazio minimo nella narrazione politica e mediatica di Bruxelles e delle maggiori cancellerie europee.

Il braccio energetico del Cremlino

Rosatom però continua a giocare un ruolo consistente sia sulla scacchiera continentale che nel resto del mondo ed è diventato forse il braccio energetico e strategico più potente del Cremlino, sostituendo Gazprom: nel quadro degli equilibri energetici complessivi che per l’Europa sono mutati radicalmente, passando in sostanza dalla dipendenza russa a quelli di altri fornitori, più o meno affidabili (dagli USA, alle repubbliche ex sovietiche del Caucaso e dell’Asia centrale e ai paesi del Golfo), Mosca ha spostato così da un lato le direttrici dell’export di gas e petrolio verso Oriente e dall’altro, attraverso Rosatom, ha spinto un po’ ovunque sul settore del nucleare. Solo nelle ultime settimane il gigante russo ha stretto accordi per la costruzione di nuove centrali in Iran, Bielorussia, Uzbekistan, Niger e Etiopia.

Soprattutto l’accordo con Teheran, nel contesto della stretta partnership fra i due Paesi sanzionati dall’Occidente, rappresenta un segnale importante, sia dal punto di vista politico che economico, con il volume del progetto quantificato in 25 miliardi di dollari. Il memorandum, siglato a Mosca tra il direttore di Rosatom Alexei Likhachev e dal massimo funzionario nucleare iraniano Mohammad Eslami, prevede la costruzione di otto centrali nucleari con una capacità energetica di 20 Gigawatt entro il 2040. Al momento in Iran è in funzione solo l’unica centrale di Bushehr, sempre a tecnologia russa, con una capacità di circa 1 GW.

Global player libero da sanzioni

Rosatom è l’unica azienda al mondo che detiene tutte le tecnologie del ciclo del combustibile nucleare, dall’estrazione dell’uranio alla fase finale del ciclo di vita degli impianti nucleari. Controllata dal Cremlino, comprende oltre 450 imprese che danno lavoro a quasi 420’000 persone: è la prima società in termini di dimensioni del proprio portafoglio di progetti esteri, con attualmente 41 reattori di piccola e grande capacità sparsi in 11 Paesi, Cina compresa; è la prima azienda al mondo nell’arricchimento dell’uranio, la seconda per riserve e la terza nell’estrazione e nella produzione di combustibile nucleare. Non è un caso che, appunto per i rapporti intrattenuti con le aziende e europee e impossibili sul breve-medio periodo, sia rimasta al di fuori del radar delle sanzioni.

Nel 2024, l’Unione Europea ha importato poco più di 700 milioni di euro di prodotti a base di uranio su un totale di 22 miliardi di euro di importazioni energetiche dalla Russia. In un recente rapporto di Bruegel, think thank specializzato su temi energetici basato a Bruxelles, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e alla luce della strumentalizzazione russa delle esportazioni di gas in chiave politica, l’esposizione dell’UE all’uranio russo rappresenta un potenziale rischio strategico: in primo piano c’è la sicurezza energetica vera e propria, considerando Mosca un partner non affidabile; poi ci sono gli aspetti più politici, con i differenti approcci che nel contesto del conflitto ucraino hanno preso alcuni Paesi con forti relazioni energetiche con la Russia, oltre al fatto che Rosatom lavora anche nel settore militare e non solo in quello civile. Infine c’è il pericolo che continuando la collaborazione con la Russia si finanzi la campagna del Cremlino in Ucraina. Per questo, secondo Bruegel, Bruxelles dovrebbe adottare una linea più chiara per eliminare davvero le importazioni di uranio russo.

Il futuro di Zaporizhia

La realtà attuale è però quella appena illustrata, dove i Paesi definiti volenterosi, quelli cioè che più degli altri sono a fianco dell’Ucraina e rifiutano compromessi al ribasso con il Cremlino, come Francia e Germania, in realtà sono in prima fila, silenziosamente, nel proseguire la cooperazione con Rosatom. Secondo una ricerca pubblicata pochi giorni fa da Greenpeace e Truth Hounds, collettivo investigativo ucraino sponsorizzato da istituzioni e organizzazioni occidentali, Rosatom sarebbe complice inoltre in vari crimini durante l’occupazione della centrale atomica di Zaporizhia, che le forze del Cremlino hanno sequestrato dal 2022.

Il sito nucleare più grande d’Europa, sei reattori al momento però tutti spenti, è gestito tutt’ora dal monopolista russo, che sembra avere intenzione di collegare la centrale alla rete nazionale, per fornire energia ai territori occupati. Situata sulla linea del fronte, sulla riva sinistra del fiume Dnepr controllata dalla Russia, Zaporizhia è stata dall’inizio del conflitto al centro dei combattimenti e della propaganda su entrambi i lati. Durante le recenti trattative estive per la risoluzione della guerra è stato ipotizzato anche il suo passaggio sotto il controllo ucraino, ma gli ultimi sviluppi indicano che Mosca e Rosatom hanno adesso tutt’altre intenzioni.

01:40

Nuovi attacchi in Ucraina

Telegiornale 28.09.2025, 20:00

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