In un mondo in piena crisi ambientale e in cui l’umanità a volte fatica a (ri)trovare un rapporto sano con la natura, fa discutere la notizia del decesso di Ryan Easley, un addestratore ucciso da una delle sue tigri durante un video che stava girando assieme a loro presso una riserva privata.
Una notizia che ha suscitato il dibattito nell’opinione pubblica per varie ragioni, ma che è soprattutto l’indizio di un fenomeno piuttosto ampio, cioè quello della detenzione di tigri in cattività a scopo privato o per allevamento, attività permesse dalla legge in alcune nazioni del Mondo.
La tragedia e il business delle tigri
Setteventi 25.09.2025, 07:20
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Forse a causa dell’influenza letteraria e cinematografica – tutti conosciamo Shere Khan del libro della giungla –, ancora oggi la tigre (Panthera tigris) scatena emozioni contrastanti: per la cultura popolare cinese è un animale magico e dalle proprietà curative, mentre in Occidente è (per alcuni) una sorta di Status symbol o addirittura un animale da compagnia. Un messaggio veicolato anche dalla serie americana Tiger King, che ha portato alla luce un mondo controverso fino ad allora poco mediatizzato e che ha soprattutto evidenziato il ruolo di capofila degli Stati Uniti in quanto ad allevamenti di tigri.

La tigre Shere Khan con Mowgli nel libro della giungla
Presente nella lista rossa dell’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura), la tigre è considerata una specie minacciata che rischia l’estinzione nei prossimi vent’anni o nel giro di alcune generazioni. Al giorno d’oggi in natura si stima che ne sopravvivano un numero che si aggira attorno ai 3140 esemplari adulti. Una quantità esigua se pensiamo che nei soli Stati Uniti – nazione in cui la tigre non è neppure endemica – si contano circa 5000 tigri in cattività, cioè più di tutte quelle che vivono in libertà.
In una valutazione del 2016, secondo una stima del Global Tiger Forum, il numero di tigri allo stato brado era stimato attorno ai 3890 esemplari, mentre nel 1998 le stime parlavano di 5000-7000 tigri. Si tratta di stime certo, ma quel che sappiamo è che in poco meno di 20 anni si è perso il 45% di tutte le tigri che he vivono libere in natura sulla Terra.

Il numero di tigri in cattività supera quello delle tigri allo stato brado
Frammentazione dell’habitat, deforestazione e aumento della pressione dovuta ad altre attività umane sono le cause principali di questo calo. Ma la situazione fragile della tigre è accentuata dal bracconaggio e dal traffico illegale di parti dell’animale (come ossa e pelli) e di prodotti derivati, che alimentano un mercato ancora molto redditizio – una tigre morta può valere purtroppo 40 volte di più rispetto a una tigre viva – che non tende a diminuire, malgrado gli sforzi intrapresi dalle organizzazioni internazionali e dai governi locali che si battono per la conservazione di questo affascinante felino.
Una richiesta di prodotti legata soprattutto alla medicina tradizionale cinese. Le ossa, ad esempio, una volta polverizzate e bollite sono utilizzate per fabbricare la cosiddetta colla di tigre, un prodotto che si scioglie nel vino e viene venduto come rimedio contro i reumatismi e i problemi ossei. Senza contare che di questo animale, che simboleggia la forza, il coraggio e il carisma, si usano pure i denti e gli artigli, venduti come amuleti. Purtroppo, la lista non si ferma qui e diverse pubblicazioni illustrano che della tigre si usano anche la bile, il sangue, il cervello e addirittura l’organo riproduttore delle tigri maschio. Per trattare tutta una serie di problemi di noi esseri umani, autodefiniti sapiens.
Trafficanti di natura
Il giardino di Albert 17.06.2023, 18:00
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Si tratta (purtroppo) di un commercio florido, soprattutto in Asia. Come ben illustrato nel libro Trafficanti di natura di Rudi Bressa, si stima che tra Vietnam, Laos e Cambogia siano presenti almeno 8000 tigri tenute in veri e propri allevamenti. Vivono lì per poter intrattenere i turisti, ma in alcuni casi dietro questi allevamenti si celano delle attività che alimentano il commercio illegale, come denunciato ad esempio dal National Geographic nel 2018. Un lato oscuro ben descritto nel libro appena citato.
Tutto questo avviene ancora oggi, malgrado la tigre sia inserita nella lista della CITES già dal 1973, che ne vieta il commercio e mira a garantire che quest’ultimo non abbia ripercussioni sulla sopravvivenza della specie.

Riusciremo a garantire un futuro alle tigri allo stato brado?
La detenzione di tigri per gli allevamenti, a scopo privato o per qualunque motivo che non abbia a che fare con la conservazione della specie, ha un diretto influsso sul numero di animali che vivono liberi nel loro ambiente naturale. Semplicemente perché queste attività umane aumentano la domanda di tigri e alimentano il mercato illegale.
Potrebbe sembrare un tema che non ci riguarda da vicino perché le tigri sono distribuite in Asia e la notizia iniziale arriva dagli Stati Uniti, ma dalle indagini condotte da Rudi Bressa e brillantemente descritte nel suo libro si può leggere come l’Europa sia uno degli hot-spot dell’esportazione di animali vivi o di loro prodotti verso l’Asia. Un problema globale non ancora risolto che ingrigisce il futuro di uno dei felini più iconici con cui condividiamo il Pianeta.