Intervista

Peacekeeping nei Balcani: la testimonianza di una giovane svizzera in Bosnia

La vodese Vana Musseca al suo secondo mandato con l’European Union Force (EUFOR) ALTHEA: “Un’esperienza che raccomando a tutti”

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Peacekeeping nei Balcani: l’esperienza di una giovane svizzera in Bosnia

RSI Info 30.06.2025, 13:55

Di: Sabrina Melchionda 

«È un’esperienza che raccomanderei al cento per cento». È con entusiasmo, pur misurato, che ci parla Vana Musseca. La vodese è agli ultimi giorni del suo secondo mandato con l’European Union Force (EUFOR) ALTHEA, missione per il mantenimento della pace nei Balcani cui partecipa anche la Svizzera: sei mesi in Bosnia ed Erzegovina in qualità di Osservatrice, dopo i sei fatti in precedenza in Kosovo.

L’idea di entrare nell’esercito l’ha sempre avuta; ma in vista degli studi che sapeva di volere intraprendere (dopo un apprendistato di commercio e l’anno passerella, a settembre inizierà Diritto a Neuchâtel), i quattro mesi di Scuola reclute e poi i corsi di ripetizione annuali non sarebbero stati ideali da incastrare. «Mi sono documentata su quali altre possibilità ci fossero e sono venuta a conoscenza della funzione di peacekeeping. Trovo che sia un buon compromesso: c’è sia l’aspetto puramente militare, grazie al quale ho imparato alcuni degli insegnamenti forniti durante la Scuola reclute; sia quello che definirei umanitario, essendo le forze di pace al servizio della popolazione locale e presenti per aiutare direttamente le persone. Per me è un mix perfetto, che si abbina bene anche con il mio indirizzo di studi».

Prima del Kosovo non conosceva nessuno reduce da questo incarico, «perciò ero partita come un foglio bianco». Oggi, sente di aver preso da entrambe le esperienze «tutto quello che ho potuto. Porterò con me soprattutto i contatti umani e il senso di ospitalità. Oltre ad aver compreso il modo in cui donne e uomini hanno affrontato la guerra e come vivono adesso, e con quali speranze e timori guardano al futuro. Venendo nei Balcani, mi sono resa conto del fatto che in Svizzera sotto diversi aspetti siamo privilegiati e a volte viviamo in una sorta di bolla. Osservare, capire cosa abbia attraversato la gente è importante anche per il mio percorso individuale, per come io vedo il mondo e tutto ciò che avviene attorno a me».

Un incontro, dunque. Ma anche uno scambio. «Credo che tanto noi soldati di pace abbiamo modo di dare ai bosniaci, tanto i bosniaci hanno modo di dare a noi. Qui ho avvertito quella svizzera come una presenza costruttiva e ho avuto la percezione che con ‘loro’ e ‘noi’, per molti versi, ci si possa rispecchiare reciprocamente».

Vana Musseca indossa l’uniforme sebbene non abbia svolto la Scuola reclute. Per operare come peacekeeper non è però necessario passare dalla formazione ‘standard’. Esiste un corso d’istruzione appositamente ideato per il promovimento della pace, aperto principalmente a donne con conoscenze specialistiche e specifiche. Gli incarichi all’estero durano sei mesi e si possono susseguire; dopo di che si ha la facoltà, ma non è obbligatorio, di integrare il sistema di milizia dell’esercito svizzero.

Con i suoi 25 anni è la più giovane degli otto soldati del Liaison and Observation Team di Mostar, una delle due sedi LOT svizzere in Bosnia ed Erzegovina (l’altra è a Trebinje). Ma l’età non è una tara. «Al contrario, sono dell’opinione che ogni giovane dovrebbe adempiere un servizio che definirei civico; che sia entrare nel sistema di milizia, nelle forze di pace o altro. È un modo per apportare qualcosa alla comunità, il che di per sé è già ragguardevole. Inoltre lo stretto contatto tra svizzero tedeschi, romandi e svizzero italiani contribuisce a rafforzare i legami tra le varie culture della Svizzera e consolidare il sentimento di appartenenza. Infine, ma non per rilevanza, è un’occasione pressoché unica come esseri umani di acquisire valori e insegnamenti». Dunque sì - ribadisce Vana Musseca pacatamente, ma con convinzione -: questa esperienza «è un must».

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Srebrenica 30 anni dopo

Il Quotidiano 28.06.2025, 19:00

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