Ticino e Grigioni

I dazi, una grana anche per il Ticino

L’esperienza di un’azienda della regione che lavora con gli Stati Uniti e che non nasconde, in queste ore, incertezza e difficoltà - L’analisi di Luca Albertoni, direttore della Camera di Commercio del Canton Ticino

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07:20

SEIDISERA 02.08.2025 - L’intervista a Luca Albertoni

RSI Info 02.08.2025, 18:56

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Di: SEIDISERA/sdr 

I dazi al 39% sono chiaramente un problema anche nella regione della Svizzera italiana, soprattutto per quelle aziende che hanno costruito nel tempo un mercato importante oltreoceano. SEIDISERA ha raccolto la voce del professionista Pietro Casati - il CEO della DAC System di Manno - che realizza almeno metà del suo fatturato negli USA, sulle grosse difficoltà e le preoccupazioni scaturite da un giorno all’altro.

“Non le nascondo che siamo preoccupati”, esordisce il CEO e fondatore dell’azienda di Manno. “Noi abbiamo poca concorrenza - spiega - però il 39% è tanto. O si rivolgono a qualcun altro o non acquistano più la soluzione che noi offriamo. Può essere un grosso problema. Per noi gli Stati Uniti oggi rappresentano il 50% del nostro fatturato. Forniamo tecnologia per il monitoraggio preventivo per le trasmissioni radio e TV e abbiamo clienti come la Fox TV, CBS, One World Trade Center, Motorola”.

Pietro Casati era già stato intervistato a febbraio, quando Donald Trump, appena entrato alla Casa Bianca, aveva iniziato a parlare di dazi. Non c’erano ancora certezze, ancora non c’erano percentuali, non c’erano ancora differenziazioni tra nazioni o tra regioni del mondo. Ma già allora Casati aveva ventilato la possibilità di spostare una parte della produzione negli Stati Uniti.

Oggi la situazione è un po’ diversa e inaspettata, perché la Svizzera, appunto, ha dazi al 39%, mentre l’Unione Europea al 15. Esiste la possibilità che la DAC System sposti una parte della sua produzione dal Ticino all’Italia, approfittando così di dazi più bassi? La paura di trasferire produzioni, know how e occupazione è presente, riferisce l’amministratore dell’azienda ticinese ribadendo che non ha intenzione di spostarsi in Italia mentre guarda ad un possibile trasferimento negli USA.

“Sono fiducioso che il 39% venga ridotto però si vive alla giornata anche se questo è un ossimoro per il business aziendale. Nelle prossime settimane - precisa- sicuramente faremo delle scelte” per fare in modo che l’azienda prosegua il proprio lavoro. Dunque Casati conferma che si guarda comunque a un trasferimento parziale negli Stati Uniti, attenti a cercare soluzioni che non penalizzino troppo il gruppo.

“Sicuramente - conclude il capo dell’azienda - oggi dobbiamo rivalutare i mercati molto più vicini: quindi l’Europa, l’Asia, però io sono appena tornato da un viaggio negli Stati Uniti e posso riconfermare che per noi il potere di acquisto che hanno gli americani è molto più grande del potere di acquisto del resto d’Europa”.

“Illusorio pensare di rinunciare facilmente a un mercato forte come quello degli Stati Uniti”

Il direttore della Camera di Commercio del Canton Ticino, Luca Albertoni, a commento della testimonianza di Pietro Casati ai microfoni di SEIDISERA, ha spiegato che è impossibile prescindere da un mercato come quello statunitense per l’economia svizzera, ma certo, questo il suo invito, delle riflessioni vanno fatte.

Questo mercato è infatti talmente importante che dal 2020 gli Stati Uniti sono il Paese in cui la Svizzera esporta di più e ha superato anche la Germania, che era da sempre stata il maggiore acquirente dei nostri prodotti. Questo vale anche per le aziende del Canton Ticino?

“Sì, sostanzialmente - prosegue ancora Albertoni - non è proprio al primo posto l’America, diciamo a ridosso della Germania e dell’Italia. Comunque ha aumentato molto la sua quota parte di esportazioni dirette: parliamo di circa 650/700 milioni di franchi dal Ticino. Quindi circa un 10% delle nostre esportazioni totali, si tratta di un’entità estremamente importante senza calcolare le raffinerie d’oro che abbiamo in Ticino e che lavorano tantissimo dell’oro che va negli Stati Uniti.”

Guardare verso altri mercati è una soluzione veramente praticabile? Quanto è difficile cambiare da un momento all’altro il mercato di riferimento per un’azienda?

“È molto difficile, non è immediato. Già chi è insediato, chi lavora con gli Stati Uniti segnala difficoltà a orientarsi. Un po’ per l’importanza del mercato, poi sono processi che richiedono investimenti molto importanti in termini di tempo e di denaro. Non è facilissimo nemmeno spostare una linea produttiva verso gli Stati Uniti, non è una cosa assolutamente immediata. A maggior ragione è più difficile lavorare ancora con altri Paesi, trovare delle alternative se già non si hanno degli sbocchi particolari. Noi promuoviamo molto i contatti con Paesi di ogni genere: l’Arabia Saudita al momento sta conoscendo una crescita importante, c’è l’accordo con il Mercosur che è sicuramente interessante. L’India, la Cina, l’Indonesia, sono tutti elementi che noi promuoviamo”.

Albertoni aggiunge che “le aziende sono attente, fa parte del loro lavoro anche cercare continuamente degli sbocchi diversi, però non si costruisce da un giorno all’altro in un clima così di incertezza oltretutto come quello che stiamo vivendo. Ci troviamo di fronte a una situazione difficilissima perché non sappiamo quanto duri questo aspetto. Dazi, contro dazi che scendono, salgono, quindi anche prendere le decisioni strategiche per le aziende è estremamente difficile perché si rischia di essere magari smentiti fra un paio di mesi”.

Non è nemmeno così facile, secondo il responsabile della Camera di Commercio, guardare al trasferimento di indirizzo verso altre nazioni con percentuali più favorevoli, mantenendo la produzione in Svizzera.

“Il discorso è più complesso - conclude il direttore - perché comunque parliamo di produzione. Quindi ci sono tutte le regole che concernono l’origine delle merci, non è così facile costruire una cosa del genere. Poi non si può escludere nulla, però tendenzialmente se si vuole approfittare di dazi più favorevoli occorre spostare la produzione o comunque una parte della produzione che renda il prodotto poi identificabile con un altro Paese, non con la Svizzera. Quindi, ecco, mi sembra un’ipotesi abbastanza remota questa”.

02:23

Dazi USA, il giorno dopo

Telegiornale 02.08.2025, 12:30

               

                

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