Non è facile difendere il comportamento del 49enne siriano a processo da ieri, giovedì, davanti alle Assise criminali di Lugano per aver picchiato, rischiando in 5 occasioni di ucciderli, i due figli. Lo ha ammesso anche la sua patrocinatrice, l'avvocata Maria Galliani. "E’ giusto che sia condannato", ha detto, "ma i fatti vanno ridimensionati sia nella loro violenza che nella frequenza", e ha chiesto che l’uomo venga prosciolto dal reato più grave, ovvero tentato omicidio intenzionale, chiedendo un massimo di 5 anni.
L'imputato non ha mai negato di essere manesco, ma in aula è stata messa in dubbio la frequenza e l'intensità della violenza: per la difesa, quel 26 dicembre sono accadute cose molto gravi, ma le vittime hanno forzato i fatti vedendo in quello una breccia per liberarsi da un padre-marito tiranno. Loro hanno massimizzato le loro versioni, mentre il 49enne accusato le ha minimizzate. L'imputato è un uomo rigido, ha detto la difesa, cementato nelle sue convinzioni, tanto da far perdere la pazienza a tutti. Ma anche se il suo comportamento è anomalo alle nostre latitudini, ha chiesto alla corte una giustizia equa, relativizzando le dichiarazioni delle vittime.
La difesa ha inoltre sottolineato come la barriera linguistica sia una delle difficoltà che hanno caratterizzato l'inchiesta e il dibattimento. "Il termine 'picchiare' è un termine generico che può voler dire molte cose", soprattutto perché i protagonisti di questa vicenda si sono espressi in arabo, curdo e italiano, e nella traduzione vi possono essere state innumerevoli sfumature.