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I dischi del mese di novembre 2022

Rassegna stampa musicale internazionale, con: Ernia, Vadim Vernay, Stormzy, Drake & 21 Savage, Weyes Blood, Francesco Guccini

  • 29 novembre 2022, 19:52
  • 14 settembre 2023, 09:20
Di politica e di grime

Stormzy al Glastonbury Festival 2019

  • Reuters

Ogni mese guardiamo alle uscite degli ultimi trenta giorni, lasciandoci guidare dalle recensioni delle testate specializzate di mezzo mondo. Dalle star affermate all'underground, ecco gli album che meritano ascolto e attenzione.

Italia: Ernia – Io non ho paura

“Un nuovo album che mette al centro la paura, intesa come ansia, in tutte le sue forme. Io non ho paura, che si ispira nel titolo al celebre e bellissimo romanzo di Niccolò Ammaniti, è composto da quattordici tracce che parlano a tutti, ma parlano soprattutto di lui. Perché le paure sono ovunque, si fa fatica a parlarne, e ci vuole coraggio e forza, ma anche tanta lucidità per riconoscerle e affrontarle. Dai grandi temi che coinvolgono tutti, come la crisi climatica, l’instabilità economica, l’odio sui social, a quelli più personali di una generazione che rifugge la monotonia, che non si sente adeguata, che ha paura di sbagliare, che pensa di non meritarsi quello che ha.”
(vanityfair.it)

Francia: Vadim Vernay – Hang Tight

“Vadim Vernay si è dedicato all'elettronica e, pur amando il francese, è in inglese che si avvicina al suo ideale di canzone profonda e morbida. Con questo secondo album, si muove tra folk e trip hop con una vera passione per Tricky. Basta ascoltare i primi due brani per entrare in questo universo: "Self Influcted" e l'intransigente "How".
(culturesco.com)

UK: Stormzy – This is what I mean

“Il clamore promozionale e l'hype che circondano l'album sembrano un po' in contrasto con la natura di This Is What I Mean. È un album sensibilmente più introverso e personale di entrambi i suoi predecessori. Se il catalogo precedente di Stormzy offre un paragone, è il penultimo brano di Heavy Is the Head, Lessons: dolce, vaporoso e guidato da un pianoforte elettrico che ricordava vagamente lo Stevie Wonder della metà degli anni Settanta. Lessons parlava della crisi della relazione del rapper con la presentatrice televisiva Maya Jama, e le relazioni sono un tema prevalente anche in questo album. Se parla della stessa donna (i tabloid riportano che i due si sono riconciliati di recente), bè, allora sembra che il rapper si sia davvero affezionato a lei negli ultimi tre anni.”
(theguardian.com)

USA: Drake, 21 Savage – Her loss

“Drake è quello che frena 21 Savage in tutto il progetto, relegandolo il più delle volte a essere un hype man, piuttosto che un rapper alla pari. Non è colpa di 21, che si è dimostrato più che capace di confrontarsi con alcuni dei migliori rapper del settore – comprese le precedenti collaborazioni con Drake. Il sottovalutato Sneakin' del 2016 aveva dimostrato che il duo ha una chimica naturale, con le violente minacce di 21 che si combinano con Drake che fa il mafioso. Questa affinità risplende in brani come "Jimmy Cooks" e "Knife Talk", due delle migliori canzoni rap mainstream degli anni Venti. Per il resto, però, come collaborazione è un fallimento. Se si elimina l'idea che si tratti di un tandem, si tratta semplicemente di un album decente di Drake: nessuna crescita, nessuna nuova idea, gli stessi inni da re della masconlinità tossica che ci propina da anni.”
(pastemagazine.com)

USA: Weyes Blood – And in the darkness, hearts aglow

“L'artista di Los Angeles, che ha suonato in una serie di gruppi noise underground prima di pubblicare il suo debutto da solista nel 2011, afferma che il suo quinto album è la seconda parte di un trittico musicale. La prima si intitolava "Titanic Rising", album di successo del 2019: una grandiosa previsione di sventura, piena di arrangiamenti orchestrali e di canzoni dolorose e bellissime sull'imminente sgretolamento della vita come la conoscevamo. Anche se difficilmente Weyes Blood avrebbe potuto prevedere gli eventi sconvolgenti che si sarebbero verificati l'anno successivo – la pandemia che ha messo a nudo le ferite aperte della disuguaglianza – l'inquietante preveggenza del disco ci metteva davanti a un paesaggio infernale. "Tutti sono distrutti ora, e nessuno sa come sia successo", canta l'autrice in Wild Time, brano che ricorda il classico songwriting di "Tapestry" di Carole King e "Both Sides Now" di Joni Mitchell.”
(nme.com)

Italia: Francesco Guccini – Canzoni da intorto

“Disco d’amore e d’anarchia. Forse i due principali sentimenti che hanno spinto l’82enne (e mezzo, precisa lui) Francesco Guccini a ridiscendere in campo dieci anni dopo il triplice fischio finale de L’ultima Thule con cui aveva detto addio al mestiere di cantautore. “Non sono più capace a scrivere canzoni, non mi riesce e non ho più nemmeno toccato la chitarra e senza strumento non riesco a comporre” torna a precisare. Una pietra tombale che fa ripiombare su di sé presentando l’inimmaginabile sorpresa di fine anno, un suo nuovo disco, Canzoni da intorto. Undici tracce, più una fantasma, che attingono al patrimonio popolare e socio-politico di un’Italia contadina, proletaria e un poco anarchica. Canzoni della tradizione e d’autore, cantate anche in diversi dialetti.”
(avvenire.it)

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