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Il Record Store Day serve ancora?

A Taylor Swift, senza dubbio: la cantante americana è riuscita a piazzare più di centomila copie lo scorso weekend. Ai piccoli negozi indipendenti, invece…

  • 26 aprile 2023, 21:00
  • 14 settembre 2023, 09:01
Taylor Swift
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Nel weekend appena passato si è celebrato in mezzo mondo il Record Store Day, e qualcuno inizia a vedere qualche crepa nel modello che voleva riportare i negozi di dischi indipendenti – e il vinile stesso – al centro dell’attenzione degli appassionati.

La storia è piuttosto nota, e risale a sedici anni fa: un gruppo di negozianti di Baltimora, nel Maryland, istituì la giornata di festa, ottenendo la collaborazione di alcuni musicisti. L’idea era che, pubblicando alcuni vinili esclusivi disponibili solo nei negozi e a tiratura limitata, appassionati e collezionisti sarebbero accorsi in massa. Alla fine dei Duemila, del resto, la situazione non era delle migliori. Bisognava trovare una via di salvezza. Amazon stava cominciando a diventare il mostruoso gigante globale che è oggi, Spotify stava rivoluzionando il modo di ascoltare la musica, e l’epidemia di chiusure di piccoli negozi specializzati in vinile era ormai una realtà conclamata, con migliaia di saracinesche abbassate ogni anno nel mondo occidentale. Ovviamente, il quadro diventava ancora più tetro se a questi elementi aggiungiamo la spinta (verso il baratro) della pirateria.
Puntare sui consumatori hardcore e sui collezionisti poteva sembrare una buona idea per uscire dal tunnel, e inoltre un’iniziativa come il Record Store Day poteva offrire ai clienti un’esperienza di piacevole socialità, impossibile da replicare per gli e-commerce. Ha funzionato: il Record Store Day ha formato code fuori dai negozi, pompato milioni nelle loro casse e perfino – speriamo di non esagerare nell’affermarlo – introdotto una nuova generazione di consumatori all’acquisto, all’ascolto, al collezionismo di supporti musicali concreti. Una piccola rivoluzione, che continua a sviluppare i suoi effetti ancora oggi.

Il 2023 è effettivamente un altro mondo, rispetto al triennio 2007-2010, in cui la tradizione del Record Store Day ha preso piede tra Europa e Stati Uniti. Per la prima volta dal 1987, nel 2022 le vendite di vinili hanno superato quelle di CD (sopravanzandole della non trascurabile cifra di 8 milioni) e segnato il sedicesimo anno consecutivo di crescita: guarda caso, l’anno della svolta è stato proprio il 2007, fondazione del Record Store Day. Certo, la rinascita del vinile può essere attribuita anche ad altri e diversi fattori: la voglia di tornare a spendere per qualcosa di concreto, il suono "migliore" (a seconda delle opinioni) e – naturalmente – la solita nostalgia, motore di tanto commercio in questi tempi retromaniaci. Però è innegabile che l’iniziativa conti qualcosa.

Record Store Day, squilibri e speculazione

Altrettanto innegabile è che le ultime edizioni abbiano dato forza alle voci critiche, che sostengono che il Record Store Day sia ormai una tradizione vuota, capace solo di mettere in luce i molti problemi dell’industria del vinile. Uno di questi ad esempio è lo squilibrio tra domanda e offerta, particolarmente evidente in paesi come il Regno Unito, che hanno accumulato enormi ritardi nella produzione concreta di vinili, a partire dal momento in cui tutte le superstar del pop hanno ricominciato a stampare vinili, formato nuovamente capace di garantire notevoli margini sul venduto. Così i vinili di Ed Sheeran, Adele o Elton John hanno intasato gli impianti e il mercato, causando ritardi nella produzione e distribuzione dei dischi di artisti indipendenti. Inoltre, tutte le uscite di grandi nomi in occasione del Record Store Day fanno ombra, ancora una volta, a quelle delle band medie o piccole, per di più con operazioni spesso discutibili come ristampe “per collezionisti” di materiale già strasentito oppure che – al contrario – meriterebbe di rimanere nel dimenticatoio.

Alcuni – come Sandro Bassanini dell’arcinoto Tondo Music di Maroggia, pochi giorni fa sulle pagine della Regione – sostengono che oggi la maggior parte delle uscite del Record Store Day non abbiano più alcun altro scopo se non mettere le mani nelle tasche dei collezionisti, con materiale venduto anche attraverso e-commerce, e solo le briciole lasciate ai piccoli negozi indipendenti sul territorio.
Ed è probabilmente altrettanto vero che le uscite a tiratura limitata prestino a volte il fianco a operazioni di speculazione spicciola, con dischi comprati la mattina e rivenduti online la sera sul mercato secondario a quattro, cinque volte il loro prezzo. I dischi come le Nike limited edition, con reseller semi-professionisti a fare incetta di copie? Non proprio, ma quasi. Del resto, il profitto facile farebbe gola a chiunque: quest’anno Live With the BBC Philharmonic Orchestra dei The 1975 è stato pubblicato su doppio LP in vinile in 7.000 copie tra Europa e Stati Uniti, oggi rivendute con ricarichi minimi intorno al 200%. Ed è solo l'ultimo esempio.

Taylor Swift sbanca il RSD 2023

Se dunque l’anima del Record Store Day non è forse più quella indie di un tempo, la giornata rimane in ogni caso capace di offrire alle cronache storie di successo. Quest’anno, ad esempio, Taylor Swift rischia di diventare la prima artista capace di far entrare un'esclusiva Record Store Day nella top 10 di Billboard: tutte le 115.000 copie globali del suo doppio LP esclusivo per il Record Store Day Folklore: The Long Pond Studio Sessions sono infatti andate esaurite nella giornata di sabato. Si tratta della tiratura più ampia mai vista per il Record Store Day, arrivata con la promessa che non riceverà alcuna ristampa. Che un’operazione del genere possa fare del bene ai negozi di dischi è in effetti opinabile, ma tuttavia costituisce un ulteriore indizio del fatto che il Record Store Day non è ancora destinato a chiudere i battenti. Solo il tempo dirà se l’iniziativa riuscirà a recuperare il suo spirito originario. A noi non resta che sperare che i negozi di dischi continuino a essere frequentati, anche nel resto dell’anno.

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