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Musei e censura: la cultura sotto pressione politica

In tutta Europa, le istituzioni museali affrontano crescenti pressioni politiche: tra censura esplicita e autocensura, la cultura diventa terreno di conflitto ideologico

  • Oggi, 17:00
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  • Ti-Press / Gabriele Putzu
Di: Alphaville/gapo 

In un contesto europeo sempre più polarizzato, i musei non sono più soltanto luoghi di conservazione e narrazione storica, ma si trovano al centro di vere e proprie battaglie ideologiche. Simona Bodo, esperta in diversità culturale e inclusione (intervistata ad Alphaville) osserva che «la pervasività delle guerre culturali e delle politiche identitarie è un fattore molto importante. I musei sono sempre più percepiti come potenziali minacce o, al contrario, alleati ideologici. Le aspettative di allineamento diventano più forti».

I casi non sono isolati, Bodo spiega: «c’è nel mondo museale europeo una preoccupazione diffusa e in crescita rispetto a pressioni politiche sempre più esplicite e aggressive». Una ricerca della rete NEMO, con oltre 150 risposte da musei di circa 30 Paesi, lo conferma. A proposito Bodo aggiunge: «Dimostra in maniera inequivocabile che la pressione politica esercitata sui musei è una realtà che non può essere ignorata», sottolineando come queste interferenze si manifestino in vari ambiti, dai tagli ai fondi alla censura di temi controversi, fino alle nomine politiche e alla manipolazione delle narrazioni.

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Molti musei, pur dichiarandosi liberi di esprimersi, scelgono di evitare questi temi. «Molti affermano di evitare una presa di posizione su tematiche controverse, preferendo ignorarle e rimanendo neutrali», ha osservato Bodo, parlando di una vera e propria autocensura.

Nicole Moolhuijsen, esperta in accessibilità e tematiche di genere, ha evidenziato come le dinamiche politiche negli Stati Uniti stiano influenzando anche il contesto museale internazionale: «quello che sta accadendo negli Stati Uniti, ma non solo, sta avendo effetti anche oltreoceano nel creare un maggior clima di ansia e tensione». Ha citato due esempi significativi: il sito Stonewall, che ha rimosso la lettera T (trans) per conformarsi alle direttive dell’amministrazione Trump, e il Young V&A Museum di Londra, che ha eliminato materiali su tematiche di genere rivolti a giovani. Moolhuijsen ha sottolineato che «non trattare questi temi non significa assumere una posizione neutrale, ma allinearsi a una narrazione dominante», e che ciò comporta la perdita di occasioni per «scardinare stereotipi e dare visibilità a tematiche queer che fanno parte del patrimonio culturale».

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Censura e autocensura in mostra

Alphaville 09.10.2025, 12:05

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  • Mattia Pelli

Nonostante le pressioni, esistono strumenti di resistenza. «La comunità museale si sta attrezzando», ha spiegato Bodo, citando la pagina Independent Museum creata da NEMO, che raccoglie toolkit, codici etici, dichiarazioni e progetti per supportare i musei. In Germania, una rete di musei ha avviato un sito che documenta attacchi politici e offre assistenza ai professionisti colpiti, spesso bersaglio di molestie da parte di esponenti dell’AfD.

Ma perché questa pressione oggi è così forte? «La cultura è sempre stata uno strumento di governi reazionari per affermare narrazioni autoritarie e dominanti», ha spiegato Moolhuijsen. Oggi, in un contesto globale segnato da «nazionalismi e populismi, è logico che questi governi guardino alla cultura come mezzo per propagandare ideologie».

Rispetto al passato, le interferenze sono più visibili e complesse. «Un tempo la principale fonte di pressione era il governo. Oggi provengono da partiti populisti, opinione pubblica polarizzata, sponsor, movimenti sociali e pressioni diplomatiche», ha osservato Bodo, sottolineando come i mezzi di informazione e i social media abbiano aumentato la capacità di contestare e mobilitarsi contro queste ingerenze.

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Moolhuijsen ha poi presentato il volume Musei e generi, pubblicato da ICOM Italia, traduzione adattata di Trans Inclusive Culture, che offre indicazioni etiche, metodologiche e pratiche per rendere la cultura più accessibile alle identità trans e non binarie. «Il linguaggio delle organizzazioni, sia front office che interpretativo, può essere un ambito straordinario per sperimentare pratiche di maggiore accessibilità», ha detto, proponendo l’adozione di un linguaggio non binario e l’abbandono del maschile sovraesteso.

Gli archivi e le collezioni raccontano già storie queer: «Se li osserviamo con attenzione, troviamo riferimenti a tematiche non normative che mettono in discussione le relazioni etero normate e quelle monogame. Questi costrutti culturali sono sempre esistiti e variano nelle epoche e nelle culture. Il patrimonio culturale è una risorsa straordinaria per far emergere questa fluidità».

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