Arte e Spettacoli

Kidlat Tahimik

L'anticolonialismo necessario

  • 08.03.2022, 10:24
  • 14.09.2023, 09:19
Kidlat Tahimik, Magallanes, Marilyn, Mickey y fray Dámasco. 500 años de conquistadores RockStars, 1922

Kidlat Tahimik, Magallanes, Marilyn, Mickey y fray Dámasco. 500 años de conquistadores RockStars, 1922

  • Archivio fotografico Museo Reina Sofia
Di: Elisabeth Sassi 

Si chiama Magallanes, Marilyn, Mickey y fray Dámasco. 500 años de conquistadores RockStars, l’ultima provocazione di Kidlat Tahimik, cineasta e artista filippino. L’installazione artistica che ha esposto al Palacio de Cristal di Madrid, si propone come una riflessione in occasione della cinquecentesima ricorrenza dallo sbarco dei conquistadores (i colonizzatori spagnoli), nelle isole Filippine. Madrid accolse il portoghese Fernão de Magalhães (Ferdinando Magellano) che, servendo la Corona spagnola, nel 1521 intraprese una spedizione nel Pacifico, imbattendosi in un arcipelago composto da più di settemila isole, le quali chiamerà: Islas filipinas, in onore di re Filippo II di Spagna. Attraverso un’operazione concettuale Kidlat Tahimik crea un corto circuito temporale esponendo le sue opere nel medesimo spazio che è stato per secoli la vetrina delle conquiste coloniali, affrontando quelle che lui stesso definisce «strutture socio-politiche stereotipate che coinvolgono il condizionamento culturale del gusto, dell'atteggiamento e del comportamento popolare».

Kidlat Tahimik, Magallanes, Marilyn, Mickey y fray Dámasco. 500 años de conquistadores RockStars, 2021

Kidlat Tahimik, Magallanes, Marilyn, Mickey y fray Dámasco. 500 años de conquistadores RockStars, 2021

  • Archivio fotografico Museo Reina Sofia

Classe 1942, Eric Oteyza de Guia sceglie come pseudonimo Kidlat Tahimik, che nella lingua tagalog (la varietà linguistica selezionata come lingua nazionale) significa lampo silenzioso. Ed è in punta di piedi che l’artista, originario di Baguio, si è fatto prima strada nel mondo del cinema per poi approdare, negli ultimi anni, in quello dell’arte concettuale trovando la sua massima espressione nelle installazioni e nella scultura. Come lampo, Kidlat Tahimik romperà definitivamente quel silenzio proponendo una visione personale di denuncia e di contestazione, senza mancare di una vena beffarda di ironia, riscontrabile già nel titolo «…500 anni di colonizzatori RockStars».

Kidlat Tahimik, Magallanes, Marilyn, Mickey y fray Dámasco. 500 años de conquistadores RockStars, 2021

Kidlat Tahimik, Magallanes, Marilyn, Mickey y fray Dámasco. 500 años de conquistadores RockStars, 2021

  • Archivio fotografico Museo Reina Sofia

L’opera Magallanes, Marilyn, Mickey y fray Dámasco. 500 años de conquistadores RockStars è il risultato di un lavoro comunitario svolto da artigiani filippini con cui l'artista, attraverso tre gruppi scultorei, ha costruito un grande palcoscenico sull'impatto che il colonialismo ha esercitato sulle culture locali. Non a caso, lo spazio espositivo scelto è quello del Palacio de Cristal, una struttura in vetro e ferro situata nel Parco del Retiro, progettata dall’architetto Ricardo Velázquez Bosco in vista dell'Esposizione Generale delle Isole Filippine tenutasi nel 1887. Lo scopo originario del palazzo era mostrare alla popolazione spagnola la flora tropicale presente nell’arcipelago conquistato. L'installazione, oggi, crea così un cortocircuito temporale e semantico, oltre a rappresentare un atto di riappropriazione simbolica dello spazio.

Kidlat Tahimik, Magallanes, Marilyn, Mickey y fray Dámasco. 500 años de conquistadores RockStars, 2021

Kidlat Tahimik, Magallanes, Marilyn, Mickey y fray Dámasco. 500 años de conquistadores RockStars, 2021

  • Archivio fotografico Museo Reina Sofia

Kidlat Tahimik utilizza sempre materiali come il legno, il bamboo e il rattan per dare vita a uno scenario che indaga la resistenza indigena filippina e la contaminazione inevitabilmente avvenuta dal contatto con le varie culture imperialiste importate dal continente europeo e dal Nord America. Tra le varie figure e gli artefatti indigeni e non, si riconosce la Dea dei Venti Inhabian, tradizionalmente invocata dalla comunità indigena Ifugao, spesso al centro della ricerca artistica di Kidlat Tahimik soprattutto perché questa comunità riuscì a contrastare per oltre duecentocinquant’anni l’occupazione spagnola. Inhabian era tradizionalmente chiamata dalle popolazioni native a protezione contro i tifoni, in questo caso viene metaforicamente pensata per contrastare l'onda tsunami dei conquistadores RockStars spagnoli e americani.

Un viaggio forse a ritroso, il suo, che ha visto come prima tappa al di fuori delle Filippine, lungo la sua formazione personale, gli Stati Uniti. In America Kidlat Tahimik ha concluso i suoi studi in Economia e confrontandosi per anni col sistema capitalistico ed etnocentrico capirà di non condividerne gli ideali. Con l’avvento degli anni Settanta, dopo le importanti rivoluzioni sociali e culturali, rifiuterà definitivamente il suo precedente stile di vita per approdare nel mondo del cinema. La pellicola sarà a lungo la forma di espressione artistica da lui prediletta per esprimere la visione politica maturata.

Identificato a livello internazionale come regista del Terzo Cinema (un’etichetta come molte altre discutibile, associata spesso al termine «Terzo Mondo») che ha rappresentato – soprattutto nelle fasi iniziali, sul finire degli anni Sessanta – un movimento di emancipazione e rivendicazione per i popoli dell’America Latina, dell’Africa fino a diffondersi nel resto del mondo. È a partire da questi presupposti che inizia a formarsi presso questa scuola di «cinema anti-Hollywood». Premessa fondamentale di questo movimento è l’approccio anticoloniale, caratterizzato da una ricerca volta a restituire delle rappresentazioni socialmente il più vicine possibile alla realtà, proponendo temi come la povertà, l’oppressione e l’identità culturale indigena.

Nel corso della sua carriera Kidlat Tahimik ha sperimentato non solo attraverso la regia e l’arte, ma anche attraverso la recitazione, la scrittura e la performance un modo di comunicare che potesse arrivare a un pubblico più vasto. Il più grande ostacolo, soprattutto agli occhi di quel pubblico razzializzato, è quello di accettare che queste denunce o rivendicazioni avvengano anche nei luoghi e nei modi di chi detiene il privilegio e il potere (una condizione difficilmente evitabile in una società complessa e stratificata).
Nonostante questi ostacoli morali, Kidlat Tahimik ha cercato negli anni di trovare un equilibrio o un compromesso, a volte difficili da digerire e magari anche apparentemente in contrasto con il messaggio veicolato, giungendo – a mio avviso – alla conclusione che a volte l’ironia è la soluzione più sovversiva che rimane. Kidlat Tahimik, forse anche grazie a questo lavoro di mediazione fra più culture, ha vinto negli anni non solo numerosi premi in festival cinematografici internazionali, tra cui il Premio della Critica Internazionale della Berlinale (1977), il The Prince Claus Laureate Award (2018), ma nel 2019 ha ottenuto anche un ampio consenso alla Biennale d’arte di Sharjah, occasione in cui ha presentato la sua installazione Ang Ma-bagyong Sabungan ng 2 Bathala ng Hangin (Uno scontro burrascoso tra due Dee dei Venti). La forza delle sue imponenti installazioni plastiche sta nel riuscire a racchiudere al loro interno un punto di incontro interdisciplinare che mostra costanti sinergie e rimandi anche al suo lavoro cinematografico.

Kidlat Tahimik, 500 Years of Conquistador RockStars, 2021

Kidlat Tahimik - Magellan, Marilyn, Mickey & Fr. Dámaso. 500 Years of Conquistador RockStars, Palacio de Christal, Madrid

  • Kidlat Tahimik, Palacio de Christal - Madrid

Apparentemente caotica e senza un ordine stabilito, la disposizione di queste sculture ricorda le narrazioni dei suoi film, che spesso presentano un canovaccio solo accennato apparendo perlopiù come storie aperte in un continuo venire, fluide, oltre le narrazioni di ciascun individuo e di ciascuno Stato. Kidlat Tahimik, da economista a autodidatta nel mondo del cinema prima e in quello delle arti plastiche poi, ha dichiarato più volte di essersi lasciato guidare da questo flusso: osservatore ossessivo e sempre disposto a scavare per arrivare all’origine delle sue contraddizioni culturali interiori. Questo approccio artistico, caratterizzato da una decostruzione il più delle volte umoristica, lo si riscontra in tutte le sue opere che siano mostre gratuite, come quella realizzata al Palacio de Cristal, o film non commerciali.

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