Cattolicesimo

Inferno monacale: la penna che sfidò il silenzio

Il ritorno di Arcangela Tarabotti, tra filologia, denuncia sociale e salotti letterari

  • Un'ora fa
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La Chiesa di Sant’Anna in Castello a Venezia dove suor Arcangela Tarabotti entrò nel 1617

  • Wikipedia
Di: Rod 

L’inserto Donne Chiesa Mondo de L’Osservatore Romano ha recentemente riportato alla luce la figura di Arcangela Tarabotti, monaca veneziana del XVII secolo, autrice di uno dei primi testi di denuncia sulla condizione femminile: Inferno monacale. Il pamphlet, rimasto manoscritto fino al 1996, è oggi ripubblicato con cura filologica da tre studiose statunitensi — Meredith K. Ray, Elissa B. Weaver e Lynn Lara Westwater — per Edizioni di Storia e Letteratura.

Tarabotti, nata Elena Cassandra nel 1604, fu costretta a entrare nel convento di Sant’Anna a Venezia all’età di undici anni, a causa di una zoppia congenita che la rese “inadatta” al matrimonio secondo i criteri sociali dell’epoca. La sua esperienza, condivisa da migliaia di altre ragazze, fu segnata da inganni e privazioni. Come racconta l’inserto, «l’inganno veniva letteralmente messo in scena» quando le bambine venivano condotte nei chiostri addobbati con dolci e leccornie, presentati come “giardini delle delizie”. Ma quella promessa di libertà si rivelava presto una crudele messinscena.

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Nel suo Inferno monacale, Tarabotti descrive il convento come «una cloaca di immondizie e incomodità», un luogo di reclusione dove le giovani erano sacrificate per permettere alle sorelle più fortunate di ottenere doti più ricche. Le monache forzate, spogliate di ogni diritto, dovevano persino chiedere al padre il pagamento annuale di circa 60 ducati per il proprio mantenimento, pur avendo firmato un atto notarile che le escludeva da ogni eredità.

La denuncia di Tarabotti è feroce e lucida. Scrive: «Volete che una viva tra gli agi e le pompe del mondo, e che l’altre stiano miseramente chiuse tra mille stenti e infelicità». La sua critica non risparmia nemmeno la pratica del colloquio previsto dalla Chiesa della Controriforma per verificare la vocazione delle novizie, facilmente aggirabile: «Le figliole, spinte a forza ne’ chiostri».

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Donne chiese potere (2./4): leadership e strutture patriarcali

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Il contesto storico è quello di una Venezia in tensione con Roma, dove il patriarca Giovanni Tiepolo osservava con inquietudine: «Se duemila e più nobildonne, che in questa città vivono rinchiuse nei monasteri (...) avessero potuto disporre in maniera differente del proprio destino, che confusione! che danno! che disordine!».

Tarabotti, donna colta e appassionata, riuscì a trasformare la sua prigionia in una carriera letteraria. I suoi scritti, ricchi di citazioni da Dante, Ariosto, Tasso, Machiavelli, Ovidio e Seneca, furono sostenuti da figure influenti come Giovan Francesco Loredan, che nel 1643 ne favorì la pubblicazione di Paradiso monacale, opera speculare all’Inferno, dedicata alle religiose che avevano scelto la clausura con gioia.

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Donne chiese potere (3./4): azione e preoccupazione

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Nonostante la libertà editoriale veneziana, molte sue opere incontrarono ostacoli. Tirannia paterna, ad esempio, fu pubblicata solo all’estero, a Leida, sotto pseudonimo, e finì nell’Indice dei libri proibiti con il titolo La semplicità ingannata.

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Donne chiese potere (4./4): spiritualità, modelli, futuro

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Tarabotti non riuscì a cambiare il destino delle monache forzate, se non per qualche miglioramento materiale, come l’abolizione dei letti di paglia. Ma la sua voce rimase potente e chiara, capace di radunare nel parlatorio del convento un vero salotto letterario, dove si celebravano le qualità femminili contro la misoginia dominante. Come scriveva Tiepolo: «Se fossero d’altro sesso, ad esse toccarebbe il comandare e il governare il Mondo». Tarabotti lo pensava, lo scrisse e lo gridò fino alla sua morte, avvenuta nel 1652.

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Parliamo d’amore!

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  • Kelly Sikkema/Unsplash
  • Luisa Nitti

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