Martin Amis, lo scrittore britannico scomparso il 19 maggio 2023, è uno di quegli scrittori di genio che ha una spiccata propensione ad apparire intelligente pur essendolo. Un paradosso che svela come a volte l’ipertrofia dell’autostima possa condurre a un’ipertrofia dell’acume.
Se è vero infatti, come ritiene il sottoscritto, che l’intelligenza che sottende a un romanzo si esplica di norma, in primo luogo, attraverso i suoi personaggi e le loro azioni, in un certo senso quello che Amis propone di contraddittorio rispetto a tale idea è che i suoi personaggi principali, le loro azioni essenziali, sono in sostanza coincidenti con la sua intelligenza. Detto in altri termini: Amis è un adepto del genio la cui dichiaratività va probabilmente in parte a discapito della stessa narrativa.
Mi riferisco al libro – a metà tra l’autobiografia e il saggio letterario (o meglio, sulla letteratura) – uscito per Einaudi con il titolo La storia da dentro e il sottotitolo Come scrivere. Il titolo dell’edizione italiana appare piuttosto incomprensibile o persino incongruo, perché l’originale è un ben più felice e felicemente enigmatico Inside Story, evocativo di quel “mondo interiore” che nell’improbabile traduzione italiana sembrerebbe convertirsi in un assai meno edificante “mondo delle interiora” (la storia che ti preme nelle viscere, il fremito intestinale della letteratura, l’urgenza gastrica di pronunciarsi attraverso la scrittura...).
Di una immodestia quasi stridente è poi il sottotitolo, Come scrivere. Giacché insegnare a scrivere è uno di quegli esercizi di ottimismo che tanti pochi risultati conseguono presso chi non è già in sé incline alla scrittura quanti sono gli introiti di cui finiscono per beneficiare i cosiddetti maieuti delle scuole di scrittura creativa.
Detto questo, se ogni storia è una storia che procede dall’interiorità – e se come scrivere è uno di quei desiderata pedagogici che si illudono di bypassare l’evidenza per la quale essendo l’arte arte non può essere alla portata di velleitari tecnicamente addestrati – il problema della esondante intelligenza di Amis merita sicuramente qualche riflessione.
La prima. Come ogni perspicacia consapevole di sé, anche quella di Amis è una perspicacia che mira a suggerire e ad alludere molto più di quanto si proponga come medium di una chiara e netta Weltanschauung. Ed essendo una perspicacia onnisciente e onnicomprensiva, è giocoforza anche frammentaria: di tutto dice qualcosa (di molto affilato e prezioso, ammettiamolo) ma di nulla alcunché che trasudi la veemenza di un’intuizione o di uno sguardo etimologicamente originale.
La seconda. Questo “collezionismo” di occasioni (per dirla alla Montale), questo “enciclopedismo autobiografico” volto a rileggere intelligentemente la vita, finisce per configurarsi come una sorta di raffinato pastiche in cui praticamente tutto lo scibile e il vissuto dell’intensa e mondanissima vita di Amis trova il proprio spazio. Per cui non ci imbattiamo solo in una sorta di trasudante costellazione di scrittori e intellettuali ma anche, ricamati intorno alle loro azioni di corredo, a un brioso speculativismo che li rimanda a noi filtrati dalle stille di intelligenza dell’autore.
Non solo: come se non bastasse, alla fine del libro, di oltre 650 pagine e corredato da una quantità monumentale di note, scopriamo un indice dei nomi e un altro bibliografico: quel che si dice l’esteriorizzazione massima del sapere, che chiamare enciclopedismo narrativo è forse più denigratorio che elogiativo.
La terza. Come ogni biografia che si rispetti, l’esistenza dell’autore detta nel libro di Amis i tempi e la consecutio. Quindi, per quanto abilmente intrecciato nei suoi momenti e nella sua cronologia, questo percorso esistenziale è in definitiva la sola trama del libro. Ma il problema è che, essendo un libro cumulativo, non avendo cioè alcuna pretesa o intenzione di portare da un punto di partenza a un punto di arrivo – ovvero essendo, nella sua eleganza prosastica, vocazionalmente enciclopedico e monster – potrebbe senza alcuna lacerazione nel lettore venire ridotto a un quarto o moltiplicato per dieci.
Amis, in queste 650 pagine, non ha d’altronde deliberato per un discorso narrativo (al di là di quello metanarrativo del come scrivere) bensì per dare fondo a tutte le risorse della sua sofisticatezza intellettuale. In questo modo lasciandoci ammirati e sedotti non meno che delusi: ammirati dalle vibrazioni profonde del suo sapere, del suo acume, della titanica varietà e vastità del suo vissuto (perlopiù speculativo) ma delusi dal fatto che gnoseologicamente parlando non siamo arrivati a quasi nulla di ciò che è di solito il portato euristico di un romanzo.
Naturalmente questo non significa molto. Amis, nella desolazione del panorama contemporaneo, si staglia comunque mille Olimpi oltre il banalismo e la letteratura di conferma. Ma appunto non su questo piano egli andrebbe – presumiamo, secondo le sue stesse aspettative – valutato, ma nel confronto con figure come Roth, Bellow, Wallace e altri suoi colleghi (per non parlare di Kafka, Mann o Musil). I quali come si suol dire, e come diceva Balzac degli autori di genio in genere, sono sempre meno affascinanti dei loro personaggi.
A questo livello egli dice moltissimo ma pochissimo, è acutissimo ma non rivela a conti fatti se non tale indefettibile acume. E laddove noi vorremmo sapere dove voleva portarci il suo Inside story, scopriamo che forse ci ha portato soprattutto a una perturbante perplessità: è più intelligente un’intelligenza genialmente dissimulata o un’intelligenza genialmente esibita?
Morto lo scrittore britannico Martin Amis
Alphaville 23.05.2023, 11:30
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