Musica pop

Francesco, Benedetto, Giovanni Paolo: la musica in Vaticano

Dal disco prog di Bergoglio all’incontro tra Bob Dylan e Wojtyla (osteggiato da Ratzinger), qualche aneddoto per raccontare lo strano rapporto tra papato e musicisti 

  • Ieri, 10:58
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La cupola della basilica di San Pietro in Vaticano

  • Imago/Pacific Press Agency
Di: Michele Serra 

Mi ricordavo fosse successo ieri, in realtà sono passati, quasi, dieci anni (inserite qui qualsiasi banalità sull’invecchiare e gli scherzi della memoria, e passiamo oltre). A fine 2015, infatti, la Multimedia San Paolo mandava in stampa Wake Up!, l’album di papa Francesco.

La notizia aveva fatto scorrere fiumi di inchiostro, inondato di meme Facebook e Instagram (la novità del momento), e ispirato i giornalisti musicali, che si erano lasciati andare a infinite battute sul tema (principalmente, giochi di parole abbastanza possi). Una delle recensioni migliori di quei giorni l’aveva scritta Chiara Galeazzi, e tra le altre cose conteneva anche una definizione perfetta di quel disco: «Prendendo la definizione di genere musicale di Philip Tagg come “triangolo assiomatico” i cui vertici sono musica colta, musica popolare e musica folcloristica, quello papale è il fulcro del cerchio inscritto in questo triangolo. La tematica sacra rappresenta la parte colta, la notorietà globale del papa è l’elemento popolare e la tradizione cristiana è il folklore – se aggiungiamo che tutte queste produzioni stanno nei confini dello Stato Vaticano, possiamo anche parlare di folklore nazionale».

Per farla un po’ più semplice, Wake Up! era un disco che metteva insieme le parole di Francesco con accompagnamenti musicali di vario genere: alcuni latineggianti, altri più pop e orchestrali, per finire con sonorità prog dovute al coinvolgimento di musicisti come Tony Pagliuca, tastierista delle Orme nei Settanta. In alcuni casi, come la title-track, il risultato poteva assomigliare a qualche ottimo Battiato o perfino al post-rock in voga nei primi Duemila; in molti altri, rimaneva abbastanza piatto. Eppure, la semplice esistenza di un prodotto del genere – al di là dell’inevitabile ironia con cui si può guardare a un disco prog del papa – aveva fatto scrivere a Jia Tolentino, ai tempi già in rampa di lancio per diventare una delle voci principali della cooltura newyorchese dell’ultimo decennio: «Papa Francesco, figura papale più umana di qualsiasi altra nella storia recente, viene ulteriormente umanizzato dalla totale stranezza musicale di questo album, dal suo genere indecifrabile, dal suo buon cuore plurale». Strano che poi il voto finale fosse solo 5 su 10, ma del resto si sa: i critici di Pitchfork non sono mai stati particolarmente misericordiosi.

Non era la prima volta, a dirla tutta, che venivano pubblicati dischi con il nome di un papa in copertina: l’avevano fatto già Giovanni Paolo II con Abbà Pater e Benedetto XVI con Alma Mater. Ma quello firmato da Francesco era in effetti il più vario e inaspettato dei tre album, tutti peraltro curati dalla stessa mano, quella di don Giulio Neroni, direttore artistico dei progetti musicali vaticani e produttore discografico delle edizioni San Paolo («per 25 anni. Ora sono un vecchio prete in pensione», si legge sul suo profilo LinkedIn. Sinceramente non so dire se sia autentico, ma perché non dovrebbe?). 

Di varietà si può parlare anche commentando i gusti musicali di Jorge Mario Bergoglio: se nelle interviste ufficiali si limitava a ricordare la sua passione per (le Passioni di) Bach, Mozart e Beethoven, pare che la sua collezione personale comprendesse almeno milleottocento dischi, e spaziasse da Edith Piaf a Elvis Presley, passando naturalmente per molta musica argentina. Il cardinale Gianfranco Ravasi, che aveva ricevuto dal pontefice l’incarico di curare la sua personale biblioteca musicale, ha dichiarato che spesso Francesco gli recapitava, insieme al CD da archiviare, una nota scritta a mano con commenti e impressioni sulla musica appena ascoltata. Esiste, dunque, la possibilità che venga prima o poi pubblicata una raccolta di recensioni papali. Cosa che, se non altro, eleverebbe un po’ lo spirito di molti giornalisti musicali di oggi.

Se è difficile vedere l’ultimo papa come una specie di music buff (l’ha definito così, di recente, Tom Huizenga della NPR americana, ovviamente esagerando), è risaputo che Bergoglio frequentasse, già prima della sua elezione, lo storico negozio La discoteca al Pantheon di via della Minerva: nel 2022, quando ancora nei luoghi pubblici si indossavano le mascherine, Francesco lo visitò, e si fermò a benedirlo su richiesta della famiglia Giostra, proprietaria dell’attività da un paio di generazioni. Negli anni intorno alla pandemia, ogni piccola attività commerciale necessitava di una benedizione: pare che oggi La discoteca al Pantheon sia ancora in attività e molto frequentata, quindi possiamo dire che quella papale sia servita. Non che ci fossero dubbi. 

Nonostante, dunque, Francesco sia stato uno dei papi più musicali e più pop della storia, non è mancato nel corso del suo pontificato qualche momento di, per così dire, tensione con il mondo della musica. Uno dei più misteriosi rimane quello del febbraio 2019, quando il Vaticano diramò l’usuale messaggio per l’inizio della quaresima, all’interno del quale si leggeva, nel passo intitolato La forza distruttiva del peccato: «Se non siamo protesi continuamente verso la Pasqua, verso l’orizzonte della Risurrezione, è chiaro che la logica del tutto e subito, dell’avere sempre di più finisce per imporsi». Quelle due frasi, nella traduzione ufficiale in inglese, diventavano i ritornelli di due canzoni arcinote, dei Queen (I Want It All) e di Florence + The Machine (Too Much Is Never Enough). Diversi commentatori del mondo anglosassone hanno riassunto con titoli come: «Il Papa rimprovera i Queen e Florence + The Machine». Ma non c’è traccia di una simile interpretazione sui giornali italofoni, né di ulteriori commenti da parte della Santa Sede, quindi si potrebbe sospettare che quella interpretazione sia stata frutto di una traduzione un po’ troppo creativa. Solo chi ha steso quel comunicato sa se è arrivata prima la forma italiana o quella inglese, a noi rimane il dubbio.

Prendendo per buona la seconda ipotesi, si tratterebbe di uno dei rari riferimenti a testi di canzoni nelle parole di un papa. Tra i casi rimasti nella memoria dell’ultimo mezzo secolo, quello che coinvolge Bob Dylan e Giovanni Paolo II: nel settembre 1997, il primo si esibì di fronte al secondo nella veglia di preghiera per il XXIII Congresso Eucaristico Nazionale, a Bologna. Dylan cantò Knockin’ on Heaven’s Door, A Hard Rain’s Gonna Fall e Forever Young. Non Blowin’ in the Wind, che venne citata da papa Wojtyla nel suo discorso: «Poco fa il vostro rappresentate ha detto, a vostro nome, che la risposta alle domande della vostra vita sta soffiando nel vento. È vero! Però non nel vento che tutto disperde nei vortici del nulla, ma nel vento che è soffio e voce dello Spirito, voce che chiama e dice: vieni! Mi avete chiesto: quante strade deve percorrere un uomo per potersi riconoscere uomo? Vi rispondo: una. Una sola è la strada dell’uomo, e questa è Cristo, che ha detto: Io sono la via». Le prime parole hanno fatto sospettare che il discorso, preparato con largo anticipo, avesse rivelato che inizialmente Dylan dovesse concludere l’esibizione proprio con Blowin’ In The Wind, e avesse poi cambiato idea. Anche qui, non abbiamo le prove, ma la ricostruzione è plausibile. 

Chissà se era vero anche quello che disse Zucchero all’impresario Bibi Ballandi, quando gli propose di partecipare alla serata (oltre a Dylan, si esibirono Dalla, Morandi, Celentano, Michel Petrucciani, Samuele Bersani, Niccolò Fabi e Andrea Bocelli): «Dylan s’è redento sulla via di 450.000 dollari!». Il riferimento era ovviamente all’ipotetico compenso portato a casa dalla star. Altri sostengono che Dylan, certo, fu pagato, ma una cifra nettamente inferiore: 30.000 dollari. Del resto, l’ammontare dei cachet degli artisti è sempre uno dei misteri meglio custoditi dall’industria musicale, anche quando non c’è di mezzo nulla di sacro. 

È sicuramente vero, invece, che in quel 1997 l’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede Joseph Ratzinger non fosse d’accordo con l’idea di ospitare campioni della musica leggera in un contesto di preghiera. Nel suo libro del 2007 Giovanni Paolo II. Il mio amato predecessore, Benedetto XVI scrisse infatti: «C’era ragione di essere scettici, e io lo ero, e in un certo senso lo sono ancora, di dubitare che davvero fosse giusto far intervenire questo genere di profeti». Wojtyla, in ogni caso, non sembrò dar molto peso al parere del suo cardinale tedesco, e nel corso degli anni ospitò in Vaticano molti musicisti, soprattutto in occasione dello show Natale in Vaticano, classico della programmazione televisiva italiana per tutti gli anni Novanta. Tra gli altri, sempre nel 1997 per l’evento arrivò a Roma B. B. King, che regalò una delle sue chitarre al pontefice. Verrebbe da dire che in quell’occasione fu certificato oltre ogni ragionevole dubbio che il blues era tutt’altro che “musica del diavolo”. Anche se tutti lo sospettavamo già, da molto prima.

30:04

Il papa che verrà

Modem 07.05.2025, 08:30

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