“Sono abbastanza arrabbiata?” È con questa domanda che Hilke è tornata, a un anno di distanza da Piano Feroce, la raccolta di rivisitazioni “piano e voce” di alcuni brani del suo primo album Silent/Violent. Prima elettronica, poi acustica, la musicista belga nella sua ultima opera Am I Angry Enough (2025 Red Brick Records) si trova musicalmente al centro di quei due mondi, con una nuova consapevolezza vocale.
La rabbia di Hilke è quella femminista. È il pretesto per un viaggio in dieci canzoni attraverso le emozioni che si celano negli anfratti più bui della sua identità trans-femminile e che accompagna la sua auto-emancipazione. «Negli ultimi anni credo di aver riflettuto di più sui contenuti, come le preoccupazioni e la rabbia femminista» racconta a colloquio con Sandra Romano, «Ho trovato una contraddizione con i temi trattati nel primo album, nel quale mi soffermavo più che altro sulla socializzazione maschile, sul mostrare la vulnerabilità, sull’idea che sia anche un’emozione maschile e su come questa venga modellata dalla società».
Vulnerabile e gentile, triste e speranzosa, Hilke esamina la questione identitaria da ogni angolazione, scoprendo che la risposta alla domanda “chi sono io?” non si trova negli estremi, bensì a metà strada.
Il veicolo di questa nuova consapevolezza è un blend musicale malinconico fatto di paesaggi acustici, beat elettronici, campionamenti distopici e le carezze di un pianoforte: «Rimarrò sempre malinconica e un po’ triste, nella mia musica. Non significa che io sia una persona triste, niente affatto, ma trovo più stimolante quel tipo di umore musicale. La musica felice non la trovo così interessante; probabilmente per me è un buon modo per esprimere i miei sentimenti negativi o depressivi, o l’ansia».
