Improvvisamente, la sensazione di essere tornati ragazzini: è ciò che molti ex-adolescenti cresciuti negli anni Sessanta del secolo scorso hanno provato nell’ascoltare Now and then, l’ultimo singolo firmato Beatles apparso sul mercato lo scorso 2 novembre.
“Now And Then”: ovvero Beatles immortali
Voi che sapete... 13.11.2023, 10:00
D’altra parte, difficile non aver provato un tuffo al cuore nel riascoltare in una nuova canzone le voci e i suoni di Paul McCartney, John Lennon, George Harrison e Ringo Starr: come se il gruppo non si fosse diviso nel 1970, come se Lennon non fosse stato assassinato nel 1980, come se Harrison non fosse morto di cancro nel 2001. Rivederli cantare insieme nel video che accompagna la canzone, non è solo ammirare un miracolo delle attuali tecnologie di registrazione, ma è anche ritrovarsi protagonisti di un viaggio nel tempo come quello immaginato dal regista Robert Zemeckis per il suo Ritorno al futuro. A differenza di quanto accade nel film, però, non servono flussi catalizzatori per ritrovarsi negli anni Sessanta: bastano quattro minuti e una manciata di secondi (tanto durano il brano inedito e il video), per riassaporare quell’effervescenza scanzonata che fu il brodo di coltura della Beatlemania.
Mentre scriviamo, a soli sei giorni dalla pubblicazione dell’inedito beatlesiano, digitando su Google il titolo dell’ultimo singolo firmato Beatles, appaiono ben ventiquattro miliardi e 410 milioni di pagine ad esso dedicati. In quelle pagine ci sono recensioni di critici musicali, commenti di singoli utenti del web, articoli di giornali: insomma, c’è tutto quanto accompagna un evento mediatico di importanza mondiale. Non per nulla titoli di giornali e servizi radiotelevisivi, rispolverando quel termine che fece la sua comparsa nei media internazionali proprio nella prima metà degli anni Sessanta del Novecento, parlano di una nuova Beatlemania. Fu il quotidiano The Daily Mirror che il 2 novembre del 1963 recensendo un concerto tenuto la sera prima dai Favolosi Quattro, usò il neologismo. Due novembre, la stessa data, sessant’anni dopo, di pubblicazione di Now and then: coincidenza o accurata strategia di comunicazione? Propenderemmo per quest’ultima ipotesi. Spieghiamo perché. Come è noto, con il termine Beatlemania ci si riferisce a quel fenomeno sociologico apparso nel primo quinquennio degli anni Sessanta e che consisteva nell’adorazione dei Beatles da parte degli adolescenti. La passione per i quattro di Liverpool eliminava differenze geografiche, culturali, di estrazione sociale, di età.
In ogni dove, i Beatles erano accolti da folle entusiaste, le ragazze svenivano al solo vederli, i loro concerti erano quasi inascoltabili per la musica sovrastata dalle urla. Perché tutto ciò? Perché McCartney & C. non erano miti quasi virtuali e inavvicinabili come, negli anni precedenti lo furono Sinatra e Presley. No, i Beatles, quando si presentarono al grande pubblico, erano ragazzi che avrebbero potuto vivere nell’appartamento a fianco di chiunque.
Le loro canzoni usavano la stessa lingua dei ragazzi e loro erano semplici e desiderosi di libertà, autoaffermazione e divertimento come tutti i baby boomer in quella stagione, ovvio quindi che questi si riconoscessero in loro. Il motto diffuso era: i Beatles sono di tutti, per tutti, con tutti. Era tutto vero? In parte sì, ma per la restante parte, questa immagine accattivante era solo il tassello di una precisa strategia di comunicazione costruita prima che i Beatles… diventassero The Beatles.
E’ ormai una verità storica il fatto che fu Brian Epstain a “inventare” i Beatles. Fu lui, all’epoca gestore di un negozio di dischi, a scoprirli già nel 1961 al Cavern Club (uno scantinato di Liverpool dove Paul, John, George e Ringo suonavano), e a decidere che i Quattro dovevano diventare il top del top. Senza una specifica preparazione, ma sicuramente con una grande capacità organizzativa, Epstein, divenuto loro manager, applicò con rigore le regole basilari della strategia del marketing considerando i Beatles un brand, ossia il marchio di un prodotto da affermare sul mercato. In primo luogo, impose cambiamenti radicali al gruppo, ad esempio nel look: allo stile ribelle fatto di giubbotti neri di pelle che indossavano, sostituì: completi di Cardin disegnati appositamente per loro (le famose giacche senza colletto), camice e cravatte al posto di t-shirt o simili. Fondamentale fu poi il taglio dei capelli “a caschetto” che scelse per loro. Nel contempo, all’inizio del 1962, prima ancora della pubblicazione del loro primo disco (e ciò la dice lunga…), creò la rete dei Beatles Fan Club, un’organizzazione di giovani fans della prima ora trasformati in attivisti pronti a sostenere e diffondere qualsiasi informazione riguardante i futuri Fab Four.
Intanto, mentre Epstein dava vita a The Beatles Book, il mensile ufficiale del gruppo, e il primo singolo, Love me do, cominciava scalare la classifica discografica, la stampa, la radio e la televisione venivano subissate quasi quotidianamente da notizie, indiscrezioni e tutto quanto potesse far parlare del “prodotto Beatles”. Così, nel 1963, dopo la pubblicazione del loro primo album, Please Please Me e dopo una tournée di un mese in giro per l’Inghilterra, il 13 ottobre Epstein riuscì a fare invitare i Beatles al concerto più atteso della BBC, quello del sabato sera dal Palladium di Londra.
Quella sera, non solo 15 milioni di spettatori videro e ascoltarono in televisione coloro che, sempre grazie a Epstein, di lì, a due anni la Regina Elisabetta avrebbe nominato Membri dell’Ordine dell’Impero Britannico, ma, con Londra bloccata da migliaia di ragazzine in lacrime e da migliaia di ragazzini urlanti, l’intero pianeta avrebbe capito cosa intendessero i giornalisti quando parlavano di Beatlemania. Non lo avrebbero più scordato: da quel momento in avanti, infatti, nel mondo giovanile come in quello della musica, nulla fu più come prima.
I Beatles a Milano
RSI Cultura 24.08.2017, 08:38