NATURA E CULTURA

Moro, Confortola e la montagna sacra (o è solo business?)

La polemica tra gli scalatori italiani e l’opinione di Enrico Camanni sullo stato attuale dell’alpinismo mondiale, tra filosofia di vita e marketing degli Ottomila

  • Oggi, 17:00
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Simone Moro sul Brévent

  • IMAGO / Aurora Photos
Di: Alphaville / Mrs 

Poche settimane fa, l’alpinista italiano Marco Confortola ha dichiarato durante un’intervista di aver scalato tutte le quattordici vette superiori agli 8’000 metri dell’Himalaya e del Karakorum, Everest compreso, ed essere così entrato a far parte di un club esclusivo che conta circa 40 alpinisti in tutto il mondo. Poco dopo l’uscita dell’articolo, è arrivata la bufera (mediatica).

Marco Confortola è stato infatti contestato da un altro alpinista molto noto, Simone Moro: secondo Moro, Confortola non sarebbe riuscito a raggiungere la vetta di ben sei cime su quattordici, e addirittura avrebbe falsificato alcune fotografie che lo ritraggono in cima alle vette, usando immagini che a detta di Moro apparterrebbero ad altri alpinisti.

Oltre la polemica in sé, la vicenda suscita domande sul significato dell’alpinismo oggi, e soprattutto su quello simbolico di questi Ottomila, categoria nata intorno agli anni Cinquanta, quando si è iniziato a misurare le vette di questi massicci.

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L’alpinismo e la guerra degli 8000

Alphaville 20.08.2025, 11:30

  • iStock
  • Enrico Bianda

Secondo Enrico Camanni, scalatore, autore del saggio La montagna sacra e animatore di alcune storiche riviste legate al mondo dell’alpinismo, l’idea degli Ottomila «è stata costruita intorno a una banale questione numerica: gli 8’000 metri di altezza col nostro sistema decimale diventano una soglia estrema. Da quando è nato questo primato – il primo a chiuderli è stato Reinhold Messner negli anni Ottanta – si è trasformato in un logo, una forma di marketing. Poi oggi c’è chi li fa con l’ossigeno, chi li fa insieme a spedizioni commerciali… la cosa è molto cambiata, rispetto ai primi tempi».

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A tu per tu con Reinhold Messner

RSI Archivi 13.01.1982, 10:09

La polemica tra Moro e Confortola ricorda anche che «l’alpinismo è basato sul fair play, cioè non ci sono giudici, non ci sono controllori, di fatto è sempre stato basato sulla parola. Se uno mantiene la parola, di solito è ritenuto un alpinista attendibile. Se uno prova a falsificare un po’ i fatti… nascono le polemiche. Questo è sempre successo, non è una cosa nuova. La cosa nuova è che su questo primato si sono caricate aspettative commerciali: gli alpinisti professionisti hanno sponsor pubblici e privati, e vendere un primato significa acquistare visibilità. Se poi però quel primato viene messo in dubbio, la reputazione può crollare, e con essa la visibilità».

27:12

Lo specchio - Marco Confortola

Lo Specchio 06.04.2025, 19:20

Questa lealtà nei confronti del grande gioco dell’alpinismo è parte di un discorso più ampio, di rispetto verso la montagna, una specie di patto che lega gli scalatori. La modernità sembra aver sciolto questo patto, sembra averlo mandato in crisi. «Quando una montagna diventa un business – sostiene Camanni – il patto è sciolto nei fatti. Per esempio, l’Everest: ormai l’Everest è una forma di turismo di alto livello, come dice lo stesso Messner. Io pago, per esempio, centomila dollari, e mi portano in cima. Chiaramente non è una cosa proprio per tutti, devo essere una persona in salute… però di fatto non devo essere un alpinista. Sarà qualcun altro a portarmi su, mettendomi le corde fisse, le bombole e quant’altro. Ecco perché il patto è stato bruciato: non c’è più la lotta, o meglio, il confronto ad armi pari con la natura. Il confronto è falsato. Il che non significa che però, al contrario, io non possa uscire molto semplicemente da un sentiero a quattro passi da casa e trovare la mia avventura. Quindi la montagna ha veramente un’infinità di significati diversi, dipende da come ti poni nei suoi confronti».

08:49

Enrico Camanni (1/2)

RSI Ospiti 03.12.2018, 11:53

Tra i diversi tipi di approcci alla montagna, ce n’è uno che possiamo definire quasi sacrale, che reagisce a quella che Enrico Camanni identifica come una tendenza a «utilizzare la montagna come un oggetto di consumo, che poi è molto spesso il nostro approccio alla natura in generale. Cioè, se scalare significa andare al supermercato delle cime, arriviamo a un punto critico, e quindi diventa necessario fare un passo indietro. L’idea della montagna sacra era proprio questa: senza alcun obbligo, fare un passo indietro… decidere che su quella particolare montagna, magari, non ci andiamo. Fermarsi a riflettere, prendere un po’ le distanze. La montagna non è solo conquista, la montagna è relazione. Ricostruire una relazione, questo è fondamentale».

Un approccio di questo tipo significa anche mettere in discussione il ruolo dell’uomo nel creato. «La cultura occidentale è sempre più antropocentrica, con l’uomo al centro e la natura al suo servizio. Altre culture, come quella buddhista a oriente, come quella degli aborigeni australiani, o di alcune popolazioni sudamericane, pensano invece che l’uomo non sia il centro, e che quindi la montagna vada in qualche modo venerata, o almeno rispettata per vari motivi: perché è fonte di vita, perché è un luogo che avvicina al cielo, eccetera. Avremmo bisogno di questo: rimettere al centro qualcosa che non sia l’uomo».

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