Salute

Problemi digestivi e intolleranze alimentari

Facciamo chiarezza sulle cause delle intolleranze alimentari e sulle sindromi digestive, in aumento nella popolazione

  • 10 giugno, 11:30
Alimentazione vegetale

Alimentazione vegetale

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Di: Monica Bossi, medico specialista in medicina interna generale, esperta di medicina funzionale

Quello delle intolleranze alimentari è un campo vasto e spesso confuso: la scienza medica insegna che le vere intolleranze alimentari sono appannaggio di problematiche enzimatiche o immunologiche a carico della mucosa intestinale, diverse, dunque, dalle allergie. Ben note, infatti, sono l’intolleranza al lattosio e la celiachia.

Ma la domanda è: qual è la causa delle sindromi digestive (sempre più frequenti) rispetto alle intolleranze appena citate e in aumento?
Questi disturbi si presentano con sintomi molto diversi: disagio intestinale, gonfiore addominale, nausea, problemi intestinali come stitichezza o diarrea. In alcuni casi, poi, i sintomi non sembrano nemmeno legati all’apparato digerente: parliamo ad esempio di stanchezza continua, mal di testa ricorrenti, anemia o dolori muscolari diffusi.

La risposta, di solo recente scoperta, si trova nella complessità dell’interazione tra il sistema digestivo enzimatico, quello immunologico e il microbiota intestinale.

L’intolleranza immunologica: la celiachia

La celiachia è una malattia “silenziosa” finché non viene riconosciuta.
Si tratta di una condizione che può causare sintomi anche gravi e varie complicazioni, ma che spesso passa inosservata finché non viene diagnosticata. Una volta scoperta, però, può essere tenuta sotto controllo con una dieta priva di glutine, che permette al corpo di tornare in uno stato di salute sia digestiva che generale.

Alla base della celiachia c’è una reazione anomala del sistema immunitario contro le cellule dell’intestino, in particolare contro i villi intestinali, che vengono danneggiati. Questo succede quando una persona geneticamente predisposta consuma regolarmente alimenti contenenti glutine, una proteina presente in cereali come grano, e orzo.
Il continuo consumo di glutine in questi soggetti provoca un’infiammazione cronica della mucosa intestinale e attiva una risposta immunitaria con produzione di anticorpi. La velocità e l’intensità con cui si sviluppa questa risposta dipendono sia dalla genetica, sia dalla quantità e dalla frequenza con cui si consuma glutine. Per questo motivo, la celiachia è considerata anche una malattia autoimmune.

Distinguere tra i diversi meccanismi immunologici coinvolti è importante, anche alla luce delle nuove ricerche che mostrano come il microbiota intestinale (cioè l’insieme dei microrganismi che vivono nell’intestino) possa influenzare e modulare entrambe queste risposte.

Seguire ogni giorno una dieta basata su alimenti naturalmente privi di glutine (come riso, mais, grano saraceno, quinoa, miglio, avena - se certificata senza glutine - e, per alcune persone, amaranto), insieme a strategie che aiutano a riequilibrare il microbiota, può portare alla scomparsa dell’infiammazione e al miglioramento della risposta immunitaria.

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Celiachia

La consulenza 11.04.2025, 13:00

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L’intolleranza enzimatica: il lattosio e la caseina

Le intolleranze enzimatiche si verificano quando il nostro corpo non produce abbastanza di un enzima necessario per digerire correttamente un alimento, o una sua componente.
Questa carenza può causare diversi sintomi, sia digestivi – come diarrea, gonfiore addominale continuo, dolori addominali o nausea – sia “extra-digestivi”, cioè sintomi che sembrano non avere legame diretto con l’intestino, come afte ricorrenti in bocca, stanchezza, mal di testa, problemi alla pelle, anemia o carenze di vitamine e minerali (che possono ad esempio alterare il ciclo mestruale).

1. Una delle forme più comuni è l’intolleranza al lattosio, uno zucchero presente nel latte e nei suoi derivati (formaggi, yogurt, panna, creme). Questa intolleranza è dovuta a una carenza dellenzima lattasi, che serve per digerire il lattosio. Il lattosio è formato da due zuccheri semplici: glucosio e galattosio.
Se non viene digerito correttamente, il lattosio arriva nel colon dove viene fermentato dai batteri intestinali, producendo gas (come l’idrogeno) che provoca i disturbi.

Per diagnosticare questa intolleranza si usa il breath test all’idrogeno (test del respiro): dopo aver assunto del lattosio, si misura l’idrogeno nell’aria espirata, che aumenta se il lattosio non è stato assorbito correttamente.

Chi ha questo problema può risolverlo eliminando o riducendo il lattosio nella dieta, scegliendo alimenti che ne sono naturalmente privi o ne contengono solo piccole quantità. Alcuni esempi sono:

  • Formaggi stagionati come Sbrinz, Grana Padano o Parmigiano Reggiano;

  • Formaggi il cui contenuto batterico favorisce la digestione del lattosio stesso come gli erborinati, Gorgonzola o alcuni yogurt. 

2. Un altro tipo di intolleranza può riguardare la caseina, una proteina presente in quasi tutti i prodotti a base di latte (esclusa la ricotta, che contiene solo piccole tracce). La caseina rappresenta circa l’80% delle proteine del latte.
In alcune persone, la digestione della caseina è difficile e può scatenare sintomi simili a quelli del lattosio.

3. In altri casi, può esserci una vera allergia alla caseina, che può essere rilevata tramite analisi del sangue (come il RAST test per gli anticorpi specifici).

Intolleranza all’istamina: quando manca l’enzima DAO

Alcuni sintomi molto vari – come mal di pancia dopo i pasti, diarrea frequente, sfoghi cutanei, orticaria cronica, mal di testa, stanchezza, vertigini, sbalzi d’umore (come ansia o tristezza), disturbi del sonno e perfino problemi ormonali legati alla fertilità – possono essere causati da una carenza di un enzima chiamato DAO (diaminossidasi).

Questo enzima è fondamentale perché serve a degradare l’istamina, una sostanza naturalmente presente nel nostro corpo. L’istamina viene prodotta, ad esempio, quando le cellule del sistema immunitario (i mastociti) reagiscono a qualcosa a cui siamo allergici.

Ma non solo: studi recenti hanno dimostrato che l’istamina può anche aumentare in risposta a stress cronico, tanto da essere considerata una sorta di “nuovo ormone dello stress”.
In più, alcuni alimenti – detti “liberatori di istamina” – possono far aumentare ulteriormente i livelli di questa sostanza nel sangue, aggravando i sintomi.

Per capire se si soffre di intolleranza all’istamina, è possibile eseguire un semplice esame del sangue che misura il livello dell’enzima DAO. Se è troppo basso, può spiegare la presenza di sintomi apparentemente scollegati tra loro ma in realtà riconducibili a un’unica causa.

Il ruolo del microbiota e la “sensibilità intestinale” diffusa

Il microbiota intestinale, cioè l’insieme dei microrganismi che vivono nel nostro intestino, è fondamentale per regolare la risposta infiammatoria e quella immunitaria, soprattutto nei casi di disturbi autoimmuni. Inoltre, svolge un ruolo importante nell’assorbimento di micronutrienti e minerali essenziali per la guarigione completa della mucosa intestinale.
Quando questo equilibrio si rompe – condizione nota come disbiosi – può nascere una situazione molto comune ma difficile da interpretare: la sensazione di essere intolleranti a tutto, anche se in realtà non esiste una vera intolleranza specifica.

Chi ne soffre sperimenta gonfiore, fastidio e disagio continuo, indipendentemente da cosa mangia – anche se si tratta di cibi abituali e ben tollerati in passato.
La causa? Una sorta di “incomprensione” da parte del microbiota stesso, che non riesce più a gestire correttamente la digestione e l’interazione immunitaria con il cibo. Questa condizione è conosciuta come gut sensitivity o dispepsia digestiva disfunzionale.

La soluzione non è eliminare sempre più alimenti, perché questo approccio può peggiorare il problema. Invece, è necessario intervenire per ripristinare l’equilibrio del microbiota, ad esempio con una selezione mirata di probiotici o prebiotici adatti alla situazione individuale.

Ecco che il cibo ha un ruolo cruciale, perché parte della cura. Il cibo non è da togliere, ma da scegliere e modulare con attenzione, per aiutare l’intestino a ritrovare il suo equilibrio.

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Microbiota, salute e dimagrimento

La consulenza 28.02.2025, 13:00

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Consigli pratici: i 21 giorni della messa a riposo del microbiota intestinale

Eliminare l’effetto infiammatorio di alcuni alimenti favorisce la salute del microbiota e della mucosa sottostante. Per farlo, c’è un protocollo che prevedere la messa a riposo del microbiota intestinale per 21 giorni.
In questo periodo sono da evitare alimenti lievitati come biscotti, pani, grissini, dolci, pizza, focacce, etc. e sono da favorire quei cereali (e loro derivati) non lievitati e poveri in glutine come:

- riso integrale o rosso
- grano saraceno
- avena integrale
- mais
- farro

nella forma di chicchi, oppure di polenta o crêpe preparate in casa con le loro farine.

Esempio di colazione: crêpe di farina di grano saraceno condita con crema di mandorle, o cioccolato fondente e qualche noce.

Esempio di pranzo o cena (raramente): riso rosso al cavolo rosso, noci e gorgonzola.

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