Società

La via dell'atomo

Risorsa o relitto

  • 16 luglio 2023, 00:00
  • 31 agosto 2023, 11:31
L'iniziatore ovvero "il papà della fisica"

Enrico Fermi

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Il 16 luglio 1945 ha inizio l’era atomica: in via sperimentale vien fatta deflagrare la prima bomba ad Alamogordo, nel Nuovo Messico. È il tempo delle grandi scoperte scientifiche di Fermi, Oppenheimer, Szilard e Teller; ma è anche il tempo della sua zona d’ombra, delle tragedie di Hiroshima e Nagasaki, della corsa ai segreti dell'arma atomica, dell'incubo della guerra nucleare, del "day after" riproposto dalla letteratura, dal cinema, dalla televisione.

L’era atomica porta in sé qualcosa di stupefacente: l’infinitamente piccolo che può sconvolgere l’infinitamente grande. Questo aspetto è al contempo turbolento e inquietante. La potenza dell’atomo entra nelle case e turba le coscienze di milioni di persone con la prospettiva dell'olocausto nucleare, riproponendo il dilemma tra scienza e morale.

Sì, perché la scoperta del nucleare mostra due destini contrastanti. Da un lato prospetta uno sviluppo industriale nuovo e promettente, dall’altro porta in sé il nucleo incandescente di un possibile conflitto esiziale. Questo paradosso accompagnerà le ricerche sull’atomo, tra paure apocalittiche e speranze utopiche.

La corsa all’armamento segna anni di tensioni e paura, finché non si arriva stipulare il Trattato di non proliferazione nucleare (1970), che prevede il progressivo disarmo, la non proliferazione (ossia lo stop alla costruzione di armi nucleari) e l'uso pacifico del nucleare. Nei venti anni successivi aderiscono al trattato quasi tutte le nazioni che dispongono di tecnologie nucleari o che potrebbero acquistarle: 189 nazioni sulle oltre 200 rappresentate all'Onu.

Più che sulla non proliferazione, le nazioni con capacità nucleari faticano a trovare un accordo sulla messa al bando dei test, considerati indispensabili per mettere alla prova nuove tecnologie. E i test infatti continuano.

Ma la strada dell’atomo oggi è un relitto del passato, uno spauracchio da sventolare in casi di emergenza e difficoltà, sulla soglia della dismissione, o è ancora una risorsa, cui far fondo energeticamente, e da coltivare geopoliticamente?

Al di là dell’uso bellico (che ci si augura non venga mai preso seriamente in considerazione), la questione nucleare sta tornando alla ribalta a causa della crisi energetica. Gli Stati che hanno deciso di uscire dal nucleare si interrogano sull’oculatezza della loro scelta mentre chi ha proseguito sulla rotta dell’atomo sembra manifestare una sicumera e un’innocenza d’altri tempi (leggi Francia, ma anche India e Cina).

Al di là delle scelte di ciascuno, resta il problema etico legato all’atomo: quello delle scorie che vengono lasciate sul campo per le generazioni future e il pericolo della radioattività.

La crisi energetica sta sollecitando una riconsiderazione del nucleare, ma il problema delle scorie, della radioattività e del rischio di un incidente catastrofico resta sul campo. La tecnologia sta lavorando per avere in futuro un nucleare più pulito (trasmutazione anziché fusione). Si parla di un processo che impiegherà comunque parecchi anni prima di giungere a compimento.

E allora l’obiettivo cardine resta quello di trasformare il sistema energetico puntando su fonti rinnovabili. E intanto la scienza può continuare a studiare soluzioni per rendere il nucleare più pulito e sicuro, con l’obiettivo di farne una fonte più sicura e con scorie inferiori e meno radioattive.

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