La nuova strategia nazionale sulla sicurezza è stata annunciata dagli Stati Uniti in un momento decisivo per il processo di pacificazione in Ucraina, con le trattative che si sono rapidamente intensificate sull’asse tra Washington e Mosca, mentre un ruolo più debole hanno continuato a giocare anche in questa fase sia Kiev che gli alleati europei, i cosiddetti volenterosi.
Il documento della Casa Bianca, che definisce gli aspetti securitari globali dell’approccio statunitense presente e futuro, con dure critiche dirette proprio all’Unione Europea, è stato accolto a Mosca con approvazione ed è stato definito coerente con l’attuale visione russa, tanto da poter garantire un lavoro costruttivo comune in vista della risoluzione del conflitto in corso. Al contrario, a Bruxelles è suonato ancora più forte il campanello d’allarme che negli ultimi mesi aveva squillato a ogni segnale di peggioramento nelle relazioni transatlantiche: pur non avendo riferimenti specifici al tavolo negoziale sull’Ucraina, la National Security Strategy targata Donald Trump avvicina ancor più le posizioni degli USA e della Russia, marginalizzando quelle dell’Ucraina e dei paesi sostenitori, che a loro volta questo lunedì a Londra faranno il punto della situazione.
La retorica del sostegno offusca la realtà
Sebbene la road map per la pacificazione sia ancora irta di ostacoli, è evidente da una parte la sintonia fra il Cremlino e la Casa Bianca, mentre dall’altra è salita la pressione sia su Volodymyr Zelensky che sui leader al suo fianco, dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen al trio che coordina l’ormai sfilacciato schieramento dei volenterosi, guidato dal premier britannico Keir Starmer, dal presidente francese Emmanuel Macron e dal cancelliere tedesco Friedrich Merz. Se a Kiev il capo di Stato ucraino è in crescente difficoltà, sia per il peggioramento delle condizioni al fronte sia per gli scandali in cui sono rimasti invischiati alcuni fedelissimi del suo cerchio magico, fra Bruxelles e le cancellerie continentali non è stata ancora elaborata una vera tattica per controbattere da un lato alla nuova postura statunitense e dall’altro alle mutate condizioni, militari e politiche, in Ucraina. Non solo: se di fatto, come testimoniato dai dati dell’Istituto per l’economia mondiale di Kiel, che attraverso l’Ukraine Support Tracker, monitora gli aiuti occidentali a Kiev, l’Europa ha quasi dimezzato dal luglio del 2025 l’appoggio militare all’ex repubblica sovietica, la retorica del sostegno incrollabile domina invece ancora la narrazione di questi giorni, offuscando la realtà.
Il portafoglio è chiuso
Per Zelensky il quadro era diventato molto complicato dopo l’arrivo di Trump alla Casa Bianca e l’azzeramento delle forniture militari, che sono state uno dei fattori del deterioramento sul terreno di guerra; i casi di corruzione a Kiev, pilotati dalla cosiddetta giustizia selettiva, ne hanno in seguito indebolito ulteriormente l’immagine, condizionandola anche di fronte agli alleati europei; questi ultimi, che ormai da mesi hanno di fatto tirato i remi in barca e non solo non hanno preso in considerazione l’invio maggiore di armi offensive (dai missili a lunga gittata franco-britannici Scalp-Storm Shadow ai tedeschi Taurus), ma hanno ridotto invece del 43% gli aiuti complessivi, sono rimasti imprigionati in un tunnel propagandistico dal quale è arduo adesso uscire. Se il portafoglio è stato già chiuso, adesso è il momento di sviluppare una sorta di exit strategy che all’interno del processo di pacificazione consenta di evitare tracolli peggiori. Il gruppo dei volenterosi, creato in primavera per iniziativa della Gran Bretagna e di Starmer, si è ridotto però al nucleo duro con Francia e Germania e appare sempre meno coeso, con alcuni paesi che per varie ragioni hanno adottato linee talvolta ambigue, come l’Italia di Giorgia Meloni, più vicina idealmente all’amministrazione statunitense.
L’ultimo appiglio per Zelensky
È forte dunque il peso del cambiamento a Washington, rispetto a un anno fa e ai rapporti tra l’Europa e gli USA sotto Joe Biden, ed è palese quanto sia difficile per gli alleati europei avere un impatto significativo al tavolo delle trattative: spiazzati dallo smarcamento di Trump, peraltro annunciato, i volenterosi hanno deciso di appoggiare Zelensky ad oltranza, almeno nella retorica, per poi ritrovarsi con il presidente a Kiev coinvolto in scandali di corruzione e attaccato dall’opposizione interna. Da parte sua, il capo di stato ucraino ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco e i leader europei con lui oggi a Londra sono rimasti l’ultimo appiglio per cercare di rimanere in sella e governare il processo di transizione verso la pace, ammesso e non concesso che si giunga a un accordo di massima fra Stati Uniti e Russia.
Gli spazi di manovra per Kiev, Bruxelles e le cancellerie europee non sono però ampi, soprattutto se non verranno allineate le posizioni rispetto ai rapporti di forza e al realismo delle soluzioni in campo: senza un approccio pragmatico ai negoziati, che contempli perciò inevitabili intese al ribasso, Vladimir Putin potrà scegliere non l’opzione per la pacificazione, ma quella per il prosieguo del conflitto.

Nuovi attacchi in Ucraina
Telegiornale 06.12.2025, 12:30













