L’Unione Europea ha approvato venerdì il 18esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. Secondo la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, Bruxelles “sta colpendo il cuore della macchina da guerra russa” e per l’alta rappresentante degli affari esteri Kaja Kallas “il messaggio è chiaro: l’Europa non smetterà di sostenere l’Ucraina e continuerà ad aumentare la pressione sino a quando la Russia non porrà fine al conflitto”. Da Kiev la neopremier Yulia Svyrydenko ha affermato che i nuovi provvedimenti restrittivi contribuiscono ad avvicinare la guerra alla fine e le maggiori cancellerie europee hanno espresso la loro approvazione, tra il presidente francese Emmanuel Macron che da Parigi ha parlato di sanzioni “senza precedenti” e il cancelliere tedesco Friedrich Merz che ha anticipato come “gli effetti delle misure saranno notevoli”.
Al di là della retorica europea, come è capitato per 17 volte di fila dall’inizio del conflitto, la realtà è però come al solito un’altra e anche questo pacchetto di sanzioni, arrivato in ritardo dopo le resistenze di alcuni paesi come la Slovacchia, Grecia, Cipro e Malta, non sarà certo decisivo per ostacolare veramente la Russia e fare cambiare strategia al Cremlino. I colloqui diretti tra Mosca e Kiev, iniziati a maggio, sono apparentemente in stallo e il conflitto prosegue: se la Casa Bianca ha formulato una sorta di ultimatum per far avvicinare il Cremlino al tavolo delle trattative, l’UE punta sull’ennesimo giro di vite. Il Cremlino non ha dato segni di preoccupazione.
Impatto limitato e insufficiente
Da un lato Mosca è ormai abituata alle sanzioni che sin dal 2014, dall’inizio cioè della prima guerra nel Donbass, hanno iniziato a condizionare progressivamente l’economia russa, senza però incidere sui meccanismi della politica interna e del conflitto in Ucraina: le contromisure vengono adattate e aggiornante in tempo reale; dall’altro lato le sanzioni stesse non sono proprio quei bazooka che pretendono di essere e che le leadership europee spacciano appunto per tali. Anche questo 18esimo pacchetto si distingue infatti per il suo limitato impatto, seppure maggiore dei precedenti, ma sempre insufficiente agli scopi dichiarati. Alcuni elementi, come i riferimenti ai gasdotti Nordstream 1 e 2, sono invero più degli specchietti per le allodole che non vere e proprie disposizioni punitive: l’Unione Europea tenta in sostanza di mascherare la propria inerzia attraverso prese di posizioni pleonastiche.
Nello specifico Bruxelles ha imposto un divieto totale di effettuare operazioni riguardanti le pipeline sotto il Baltico, anche per quanto riguarda la fornitura di beni o servizi, impedendo in tal modo il completamento, la manutenzione, la gestione e qualsiasi utilizzo futuro. I gasdotti sono comunque già fuori uso, dopo il sabotaggio ad opera di un commando ucraino nel settembre del 2022 e per quel che riguarda il dopoguerra i conti dovranno essere in ogni caso fatti a tempo debito, nella prospettiva presumibile di una rinnovata cornice nei rapporti con la Russia, non dominata da sanzioni. In sostanza dunque su Nordstream molto fumo e niente arrosto e lo stesso vale per il complesso dei provvedimenti riguardanti l’energia, il pilastro su cui si regge l’economia russa attraverso l’export di idrocarburi.
Doppi standard di Bruxelles
L’UE non è riuscita ad imbarcare gli Stati Uniti nel nuovo meccanismo di definizione del price cap al petrolio, portato da 60 a 47,6 dollari al barile con un meccanismo dinamico di adeguamento, e come accaduto sino ad ora non ci sono automatismi sanzionatori per quei paesi che non si adeguano, ma solo avvertimenti. L’inefficacia del tetto e della sua applicazione come dettata da Bruxelles è già emersa negli scorsi mesi e senza un forte appoggio statunitense i provvedimenti europei rischiano di essere un altro buco nell’acqua. Non solo: anche il 18esimo pacchetto brilla per l’assenza di misure sul gas, che a differenza del petrolio non è mai stato oggetto di sanzioni, fatta eccezione per la riesportazione di GNL (gas naturale liquido) da porti europei verso paesi terzi. Ciò significa che Stati dell’Unione continuano ad importare gas russo, dalla Spagna al Belgio, dalla Francia alla Germania. Bruxelles è stata accusata di usare due pesi e due misure dall’India, a cui è stato vietato di esportare in Europa prodotti petroliferi ottenuti da greggio russo, mentre appunto paesi UE acquistano gas direttamente da Mosca.
Che la linea europea sia zigzagante non è certo una novità, ma le evidenze si fanno più frequenti e minano la già debole credibilità dell’Unione al di fuori del Vecchio continente, dall’India alla Cina, dal Brasile a tutto il cosiddetto Grande sud. La posizione di Bruxelles per la risoluzione del conflitto ucraino è molto distante da quelle di Pechino, partner strategico di Mosca, e non coincide propriamente nemmeno con quella degli Stati Uniti, con Donald Trump che per adesso si è chiamato fuori dai giochi, lasciando la palla a Kiev e il conto ai volenterosi europei. L’UE ha sanzionato ancora Mosca per costringere Vladimir Putin alle trattative, continuando a percorre la stessa strada costruita in oltre tre anni di guerra che assomiglia però a un vicolo cieco.
Sanzioni contro la Russia: nuove misure da UE
SEIDISERA 18.07.2025, 18:00
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