Stati Uniti e Cina concordano la tregua nella guerra commerciale. Ma per arrivare a una pace profonda e duratura servirà molto di più di quanto emerso dall’incontro fra Donald Trump e Xi Jinping a Busan, Corea del Sud. Come prevedibile, il presidente degli Stati Uniti ha parlato di grande successo: “In una scala da 1 a 10 è andato bene 12”, ha detto sull’Air Force di ritorno a Washington. Nonostante il tono trionfalistico, i punti dell’intesa non vanno molto oltre una de-escalation rispetto alle ritorsioni incrociate dell’ultimo mese.
Primi segnali dalla durata dell’incontro: circa 100 minuti, un’ora e 40, molto meno delle 3-4 ore previste alla vigilia. Nelle due delegazioni presenti al colloquio, spicca l’assenza di Li Chenggang, capo negoziatore di Pechino. Segnale che il faccia a faccia non prevedeva altri negoziati o trattative su nuovi dossier, ma una conferma di quanto concordato nei giorni scorsi in Malaysia.
Il primo elemento menzionato da Trump è quello riguardante gli acquisti di soia. Già alla vigilia dell’incontro, la Cina ha ripreso le importazioni. Si tratta di un buon risultato per la Casa Bianca, visto che Pechino è da decenni il primo importatore e considerato l’impatto sugli agricoltori in aree peraltro dove è presente un forte elettorato repubblicano. Non si tratta però di un rilancio completo, ma di una ripartenza da zero, visto che negli ultimi mesi la Cina aveva completamente interrotto gli acquisti.
Come previsto, cancellati i dazi aggiuntivi del 100% che erano stati annunciati per il 1° novembre sui prodotti cinesi. Washington ha anche garantito il rinvio di un anno delle tasse portuali contro le navi cinesi, entrate in vigore poche settimane fa. Anche Pechino ritirerà le ritorsioni introdotte nello stesso settore. Più significativa la riduzione dal 20 al 10% delle tasse doganali imposte da Trump per la vicenda del fentanyl, decisa dopo che la Cina ha garantito “azioni decise” contro il flusso di materiali chimici utili alla produzione dell’oppioide killer. Si tratta in sostanza dell’unico punto dell’intesa che va temporalmente oltre quanto accaduto da settembre in avanti, visto che il dossier fentanyl era stato utilizzato da Trump per i primissimi due round di dazi che avevano dato il via allo scontro commerciale a febbraio e marzo scorsi.
Al centro dell’attenzione, come sempre, chip e terre rare: si tratta delle due leve negoziali principali dei due rivali. Anche in questo caso, è arrivato un sostanziale pareggio. Trump ha annunciato che la Cina sospenderà per un anno l’entrata in vigore delle ultime restrizioni sull’export dei materiali cruciali per industria elettronica, tecnologia verde e difesa. In cambio, Trump pare non ostacolare la vendita del nuovo chip Blackwell di Nvidia sul mercato cinese.
Il ministero del Commercio cinese ha aggiunto un passaggio: anche Washington si è impegnata a sospendere per un anno l’estensione delle restrizioni all’export di software tecnologici verso le affiliate alle aziende cinesi sotto sanzioni. Imposta il 29 settembre, si trattava della norma che ha dato vita all’ultima escalation e alla risposta di Pechino sulle terre rare.
La temporaneità delle concessioni mostra che i due fronti sono destinati a restare aperti. Peraltro, sulle terre rare la Cina ha già dimostrato di essere in grado di modulare il flusso delle spedizioni, anche senza il nuovo sistema di licenze governative che ora ha accettato di sospendere. Su chip e tecnologia, lo spettro delle restrizioni di Washington alle catene di approvvigionamento è ancora molto ampio.
Non è arrivata la conferma definitiva dell’accordo su TikTok, anche se non dovrebbe essere a rischio la vendita della divisione statunitense dell’app a un consorzio di aziende americane, con la proprietà dell’algoritmo destinata però a restare cinese.
Nei colloqui non si sono peraltro affrontati due dei nodi principali: lo squilibrio della bilancia commerciale a favore della Cina, che esporta molto più di quanto importa, e l’eccessiva capacità produttiva di Pechino.
Dall’incontro è rimasta fuori anche Taiwan, una novità quasi assoluta per un faccia a faccia tra leader di USA e Cina. Sollievo a Taipei, visto che alla vigilia si erano diffuse diverse indiscrezioni sulla possibilità che Xi potesse convincere Trump a dichiararsi “contrario” all’indipendenza dell’isola, andando dunque oltre il tradizionale “non supporto” di Washington.
Insomma, ci sono diversi segnali che si è scelto di evitare i temi potenzialmente più divisivi e pericolosi delle relazioni, allo scopo di non compromettere la ripresa del dialogo ai massimi livelli. Anche sulla guerra in Ucraina, non emergono i punti di attrito come le sanzioni secondarie sull’acquisto di petrolio russo. Anzi, Trump ha affermato che “lavorerà insieme a Xi” per provare a mettere fine al conflitto. Il presidente degli Stati Uniti ha garantito che verrà firmato un accordo “molto presto”, ma non sarà semplice trasformare la temporanea tregua in una pace duratura. Sembra confermarlo, tra le righe, anche il resoconto dell’agenzia di stampa statale Xinhua sulle parole di Xi. Il leader cinese, che come sempre non entra nel dettaglio delle intese per cui rimanda ai team negoziali, auspica il miglioramento dei rapporti – “Essere partner e amici è una lezione della storia e una necessità della realtà” – e poi indugia nell’illustrare lo “slancio” dell’economia cinese e le misure previste dal nuovo piano quinquennale 2026-2030. Parafrasando il discorso di Xi: lo scontro sui dazi non ci ha abbattuto e abbiamo predisposto una serie di misure per schermarci dalle turbolenze future.
Da sottolineare che entrambi i leader hanno preannunciato un possibile doppio incontro nel 2026. Trump dovrebbe recarsi a Pechino in aprile, Xi a Washington (o Palm Beach) in autunno. È un messaggio importante rivolto a mercati, imprese e pubblico interno sul fatto che si tenterà trovare intese più strutturate. O quantomeno di stabilizzare il disaccordo in vista di nuove possibili fratture.

Accordo commerciale tra Cina e USA
Telegiornale 30.10.2025, 12:30










