Dall’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, ormai quasi sei mesi fa, lo schieramento occidentale a fianco dell’Ucraina si è sostanzialmente diviso: da una parte gli Stati Uniti, che hanno di fatto azzerato gli aiuti militari e finanziari, con il nuovo presidente che ha assunto la posizione di mediatore tra Mosca e Kiev, abbandonando quella di primo sostenitore dell’ex repubblica sovietica; dall’altra l’Unione Europea, a sua volta frammentata tra Commissione, leader dei cosiddetti paesi volenterosi e chi invece ha continuato a mantenere una linea più accondiscendente con la Russia, a partire da Ungheria e Slovacchia. In realtà, della coalizione dei volenterosi, costituitasi all’inizio di marzo a Londra, fanno parte quasi tutti gli Stati dell’UE e della NATO, con l’eccezione più rilevante degli USA, i Paesi trainanti sono però la Gran Bretagna, la Francia e la Germania, seguiti dalla Polonia: negli scorsi mesi sono stati diversi gli incontri presenziati dal premier britannico Keir Starmer, dal cancelliere tedesco Friedrich Merz e dal presidente francese Emmanuel Macron. Accompagnati dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, dalla ministra degli Esteri di Bruxelles Kaja Kallas e dal segretario generale della NATO Mark Rutte rappresentano l’ala intransigente e dura che si oppone a Vladimir Putin.
Quattro punti fondamentali
Di fronte al disimpegno statunitense annunciato e praticato da Trump, che a corrente alternata ha stoppato e dato il via libera ad aiuti militari approvati dalla precedente amministrazione, ma non ne ha sbloccati sostanzialmente di nuovi e si è opposto sino ad ora a maggiori sanzioni contro la Russia, la coalizione dei volenterosi è nata con l’obbiettivo di creare un nucleo di alleati in Europa per coordinare il supporto a Kiev e supplire all’eventuale smarcamento completo e futuro da parte di Washington. Quattro i punti fondamentali del piano comune illustrato per la prima volta a Londra ormai più di tre mesi fa: dall’impegno a mantenere il flusso di aiuti militari all’Ucraina, aumentando al contempo la pressione economica sulla Russia attraverso sanzioni e altre misure, all’affermazione che qualsiasi accordo di pace duraturo dovrà garantire la sovranità e la sicurezza di Kiev, passando per il rafforzamento delle capacità militari ucraine per scoraggiare potenziali future invasioni. Questa almeno la teoria, sempre condita da molta enfasi, che è stata però messa a dura prova nella realtà dei fatti.
Ultimatum europeo fallito
Se è stato ribadito negli scorsi mesi dai volenterosi come le sanzioni non potranno essere revocate nell’ambito di un accordo per una tregua temporanea, ma solo ed eventualmente nella cornice di un’intesa più ampia, a maggio da Kiev, gli zelanti sostenitori di Volodymyr Zelensky hanno lanciato un ultimatum alla Russia per la necessità di una tregua incondizionata di trenta giorni, dietro la minaccia di un nuovo pacchetto di provvedimenti restrittivi. Il Cremlino, che ha rilanciato a sua volta con il summit di Istanbul, ha però ignorato le richieste di cessate il fuoco e successivamente a giugno l’Unione Europea non è stata in grado a causa dei dissidi interni di approvare il 18esimo pacchetto sanzionatorio, mentre dagli Stati Uniti anche Trump ha boicottato i tentativi di accrescere la pressione su Mosca e Putin.
L’ala europea dei volenterosi - scavalcata dagli USA anche nel dossier iraniano, quando appena cominciato il tentativo di mediazione a Ginevra a giugno fra i rappresentati di Teheran e quelli di Bruxelles, Londra, Berlino e Parigi, ha dovuto subito rinunciare ai propositi di fronte ai bombardieri mandati da Trump sull’Iran – si è mostrata in definitiva debole e comunque dipendente dalle scelte della Casa Bianca. Allo stesso modo, nonostante le dichiarazioni di pieno sostegno all’Ucraina, proprio Gran Bretagna, Francia e Germania hanno tenuto con l’UE sin dall’inizio del conflitto una strategia che ha permesso a Kiev di difendersi, sempre meno, e mai di essere in condizione di potere raggiungere quel progetto di vittoria che ancora è stato avanzato ai recenti vertici di ieri tra Londra e Roma. La narrazione occidentale dei volenterosi, e quella dello stesso Zelensky, non è però più quella del successo sul campo e del respingimento delle forze russe dal Donbass e dalla Crimea con il ripristino dei confini del 2014, ma quella espressa nella vaga formula di una pace giusta e duratura che nella Realpolitik è però difficile da inserire.
I nodi militari e politici
Gli europei, che al pari degli USA, si concentrano sulle forniture di armi difensive come i sistemi missilistici statunitensi Patriot, e hanno escluso quelle offensive come i tedeschi Taurus, hanno annunciato che sarebbero pronti anche piani di peacekeeping in caso di tregua, ma anche rispetto alle garanzie di sicurezza postbelliche richieste da Zelensky non è stato elaborato nessun programma. Nella cornice per un’intesa ad ampio raggio con la Russia vanno considerate anche le richieste del Cremlino sulla futura neutralità dell’Ucraina, anche su queste però non pare esserci nessuno sviluppo concreto condiviso. Il fronte europeo ha in definitiva la possibilità di supportare a lungo termine l’Ucraina, almeno dal punto di vista finanziario, ma i problemi, e i nodi sono però militari e politici.
Secondo l’Istituto per l’economia mondiale di Kiel, che attraverso l’Ukraine Support Tracker monitora il sostegno occidentale a Kiev, sostituire gli aiuti statunitensi non sarebbe per i volenterosi un grave problema: attualmente i governi europei spendono solo lo 0,1% del loro PIL annuo e per mantenere l’appoggio totale allo stesso livello l’Europa dovrebbe raddoppiare a un livello medio dello 0,21% del PIL annuo. Detto in soldoni non è questo insomma il problema maggiore. Diversa invece la situazione per gli aiuti militari, con le armi di origine statunitense più difficili da sostituire, a partire appunto dai Patriot o dagli Himars. Il nodo fondamentale è però politico e non è nuovo e riguarda sia la quantità che soprattutto la qualità: già Joe Biden ha fornito con il contagocce missili Atacms o caccia F16 e sia Londra che Parigi hanno lesinato con i franco-britannici Scalp-Storm Shadow, mentre Berlino ha chiuso sempre la porta per i Taurus. Pur non essendoci veri game changer nel contesto di una guerra di logoramento, il timore di un’escalation e della reazione russa ha condotto alla situazione attuale, che vede Mosca ancora in vantaggio sul terreno e Kiev sempre più in difficoltà.

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