Dallo scorso giugno molto si è detto e scritto sul cinquantesimo anniversario di uscita nelle sale degli Stati Uniti del blockbuster di Steven Spielberg “Lo squalo” (“Jaws”, nella versione originale). In realtà da noi nella Svizzera italiana il film arrivò soltanto qualche mese dopo, all’inizio del 1976. Poco importa. Fatto sta che quel giugno del 1975, poco prima della stagione balneare per molti occidentali, lasciò una traccia indelebile non soltanto nell’industria cinematografica, ma anche nella percezione degli squali da parte del grande pubblico. Non che non si sapesse della potenziale pericolosità di questi formidabili predatori degli oceani, ma le scene sapientemente costruite per generare suspense e terrore furono senz’altro determinanti in quella che sarebbe stata per decenni la narrazione popolare attorno agli squali.

Ancora oggi, prima di tuffarsi nelle acque cristalline di un’amena località turistica sul mare, alcuni di noi (io compreso) se lo chiedono: “e se ci fosse uno squalo?”. Ma quanto è davvero fondata questa paura? Quante probabilità abbiamo davvero di incontrare uno squalo? E soprattutto: cosa sappiamo davvero di questi animali?
Contrariamente a quanto si pensa, non è insolito che gli squali si avvicinino alla costa. Alcune specie lo fanno per cacciare, altre per partorire, altre ancora perché attratte da scarti di pesca o da condizioni ambientali favorevoli. Le acque basse, infatti, possono offrire rifugio e cibo, soprattutto in zone dove il fondale precipita rapidamente, come nel Mar Rosso.

Più vicino a noi, nel Mar Mediterraneo, vivono circa cinquanta specie di squali, sul migliaio di specie conosciute nel mondo. Alcune sono comuni, come la verdesca, il gattuccio o lo smeriglio, altre più rare e minacciate, come lo squalo bianco. Sì: lo squalo bianco lo troviamo anche nel mare che più frequentiamo durante le nostre vacanze. Tra i racconti più controversi legati alla presenza di questo super-predatore nel Mediterraneo, spicca un episodio avvenuto nel 1908 al largo di Capo Santa Croce, sulla costa orientale della Sicilia. Una femmina di squalo bianco lunga circa cinque metri fu catturata dai pescatori locali. All’interno del suo stomaco vennero rinvenuti i resti di tre esseri umani: un uomo, una donna e un bambino. La notizia fece scalpore, ma gli esperti dell’epoca ipotizzarono che quei corpi non fossero stati vittime di un attacco diretto. Si riteneva infatti che fossero persone decedute nel maremoto causato dal devastante terremoto di Messina, avvenuto pochi giorni prima, e che lo squalo avesse semplicemente consumato i cadaveri in mare, a conferma del comportamento opportunistico della specie.
Questo filmato invece mostra uno degli avvistamenti più celebri risalente al 1998, quando un pescatore italiano filmò un esemplare di circa sei metri al largo di Rimini.
Ma già nell’antichità, racconti e reperti archeologici parlavano di “mostri marini” con denti affilati e dimensioni impressionanti. Secondo lo zoologo italiano Alessandro De Maddalena, autore di uno studio approfondito sulla specie, il Mediterraneo è stato per lungo tempo un luogo di riproduzione e nursery per gli squali bianchi, in particolare nello Stretto di Messina. Tuttavia, la popolazione è oggi fortemente frammentata e in declino. Le cause sono molteplici: sovrasfruttamento della pesca, riduzione delle prede, cambiamenti climatici e catture accidentali (il cosiddetto bycatch). Secondo De Maddalena, potrebbero esserci alcune decine o al massimo alcune centinaia di esemplari ancora presenti, ma è impossibile avere dati certi. La loro rarità, unita alla difficoltà di identificazione in mare, rende ogni avvistamento un evento eccezionale.
Quanto alla pericolosità, i dati parlano chiaro: gli attacchi sono estremamente rari. Secondo il Florida Museum dal 1580 a oggi, si sono verificati 142 attacchi mortali su oltre novecento documentati. La maggior parte degli episodi è sporadica e spesso legata a un’errata identificazione da parte dello squalo. A questo link invece potete accedere a una mappa interattiva dei luoghi, in cui si sono verificati gli attacchi.
Va detto – e sottolineato - che non tutti gli squali sono uguali. Le differenze tra specie sono enormi: per comportamento, dieta, habitat e persino struttura sociale. Gavin Naylor, direttore degli International Shark Attack Files, ama spiegare al pubblico delle sue conferenze che uno squalo tigre è diverso da uno squalo bianco quanto un canguro lo è da un pipistrello. Questa diversità è al centro di numerosi studi, come quelli condotti dal Max-Planck-Institute, che analizzano le interazioni tra squali e prede in branco, o dal team dell’Università di Costanza, che esplora il comportamento collettivo degli squali in ambienti dinamici (Loopy Loops and Sharky Sharks).
La biologa Angela Albi, affiliata al Max-Planck-Institute of Animal Behavior di Costanza, ha condotto studi pionieristici sul comportamento degli squali alle Maldive. Ospite del giardino di Albert in ottobre del 2024, Angela Albi ha raccontato come l’uso di droni e intelligenza artificiale permetta di osservare gli squali pinna nera del reef mentre cacciano all’interno di banchi di pesci. Un lavoro che le è valso – tra i vari riconoscimenti – il prestigioso premio della Royal Society Publishing Photography Competition.
https://rsi.cue.rsi.ch/info/natura-e-animali/Dalle-Maldive-uno-sguardo-inedito-sugli-squali--2407678.html
Paradossalmente, mentre alcuni squali si avvicinano troppo all’uomo, è l’uomo a rappresentare la vera minaccia per loro. La pesca intensiva, il finning e la distruzione degli habitat hanno portato molte specie sull’orlo dell’estinzione. Secondo Ocean & Fisheries, il Mediterraneo è una delle aree più critiche: qui il 50% delle specie di squali è minacciato. Progetti come ReShark stanno cercando di invertire la rotta, reintroducendo squali zebra in natura e promuovendo la conservazione attraverso collaborazioni internazionali. Anche il centro MaRHE nelle Maldive svolge un ruolo chiave nel monitoraggio delle popolazioni di squali e nella formazione di nuovi ricercatori.
Il riscaldamento globale sta inoltre modificando le rotte migratorie degli squali. In Florida, la temperatura superficiale del mare è aumentata di 3°C in 15 anni, rendendo alcune zone più calde e quindi più frequentate da squali tropicali. In Europa, si ipotizza che specie come il pinna bianca oceanico possano spingersi dal Mediterraneo verso il Regno Unito, dove gli attacchi sono storicamente rarissimi. Un caso emblematico è quello del primo morso di squalo azzurro nel Regno Unito, avvenuto nel 2022: un evento non grave ma significativo, che ha acceso i riflettori su come il cambiamento climatico stia alterando gli equilibri marini.

La vera sfida non è eliminare il rischio, ma gestirlo. In Australia, droni e app tracciano gli squali in tempo reale, permettendo ai bagnanti di sapere se è sicuro entrare in acqua. In Egitto, dopo gli attacchi del 2022 e 2023, sono stati avviati programmi di monitoraggio e restrizioni alla pesca. Ma la convivenza passa anche – e soprattutto - dalla conoscenza. Capire che gli squali non sono “killer sanguinari”, ma animali intelligenti, curiosi e fondamentali per la salute degli oceani, è il primo passo. È fondamentale essere coscienti che senza gli squali gli ecosistemi marini sarebbero destinati a un collasso disastroso.
Pur non avendo alcuno sbocco sul mare, anche la Svizzera gioca un ruolo attivo nella loro protezione. Due esempi su tutti. A San Gallo la Shark Foundation (Hai Stiftung) - un’organizzazione nata nel 1997 – si è data una missione chiara e determinata: tutelare gli squali e i loro habitat naturali, promuovendo la ricerca scientifica e la sensibilizzazione pubblica. La fondazione svizzera è riconosciuta a livello internazionale e rappresenta ufficialmente la Svizzera presso l’European Elasmobranch Association. Nel corso degli anni ha sostenuto progetti in India, Ghana, Capo Verde, Angola e nel Pacifico, studiando la genetica delle popolazioni, il commercio di squali, le nursery e le dinamiche migratorie. Ha contribuito alla pubblicazione di oltre 120 studi scientifici e promuove attivamente l’educazione ambientale attraverso mostre, corsi e interventi nei media. Sul suo sito, una stima in tempo reale mostra quanti milioni di squali vengono uccisi nel mondo dall’inizio dell’anno. Un dato scioccante e che invita a riflettere.
Un altro esempio di impegno svizzero nella ricerca sugli squali arriva da Jürg Brunnschweiler, un biologo affiliato all’ETHZ, che ha dedicato anni allo studio degli squali toro (bull sharks) nelle acque delle Fiji. Il suo lavoro si è concentrato sulla Shark Reef Marine Reserve , un’area protetta che ha trasformato un sito di immersioni turistiche in un vero e proprio laboratorio vivente per la conservazione marina. Brunnschweiler ha studiato il comportamento degli squali in relazione alla presenza umana, analizzando come l’alimentazione artificiale (feeding) influenzi i loro movimenti e le interazioni sociali. I suoi dati hanno contribuito a comprendere meglio le dinamiche tra squali e subacquei, e a promuovere pratiche di ecoturismo responsabile. La sua esperienza - raccontata nel blog dell’ETHZ “Escape to Shark Reef”– è stata poi ripresa in una miniserie documentaristica dai nostri colleghi di “Einstein” nel 2018.

Insomma, conoscere questi animali vecchi di 450 milioni di anni è davvero importante, perché se è vero che non esistono gli squali-bufalo, è altrettanto vero che esistono molte bufale sugli squali! E la realtà del fatti – non delle impressioni – ci dice che il declino delle loro popolazioni è un segnale inquietante per gli equilibri del nostro Pianeta. Sulla loro pericolosità basti tenere presente che le chances di essere uccisi da uno squalo sono di circa 1 su 28 milioni: una probabilità maggiore rispetto a quella di vincere alla lotteria, ma minore rispetto a quella di essere uccisi da un fulmine. Un rischio con il quale si può tranquillamente convivere.
Perché gli squali attaccano?
Il giardino di Albert 18.10.2025, 16:55







