Svizzera

Ucraini e lavoro, traguardi ancora lontani

Oggi ha un impiego il 43% di chi è arrivato da almeno tre anni e un terzo del totale dei permessi S in età lavorativa - Ticino molto sotto la media: “Impossibile raggiungere questi obiettivi”

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La quota di chi ha trovato un impiego varia fortemente da cantone a cantone

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Di: Stefano Pongan 

“La realtà socio-economica, territoriale e linguistica del Canton Ticino rende estremamente difficile l’integrazione nel mondo del lavoro delle persone con statuto S, rendendo di fatto impossibile il raggiungimento di tali obiettivi”. A scriverlo, in data 6 agosto, è il Consiglio di Stato, che ha così preso posizione all’indirizzo del Dipartimento federale di giustizia e polizia nel quadro della procedura di consultazione sul mantenimento dello statuto, di cui beneficiano gli ucraini in fuga dalla guerra.

In autunno il Consiglio federale dovrà decidere se prolungarne la validità fino al marzo del 2027, come già stabilito dai ministri dell’interno dell’UE. Oggi nella Confederazione è ancora garantito solo fino al marzo 2026. La proroga non è in dubbio, e il Ticino la ritiene “condivisibile” visto che il conflitto prosegue. Le perplessità di Bellinzona sono legate al proseguimento del programma S per l’integrazione degli ucraini, in particolare nel mercato del lavoro. O, piuttosto, ai traguardi che la Confederazione si è prefissata.

L’obiettivo di Berna per il 2025: il 50% di occupati fra quanti arrivarono nel 2022

Ma qual è la situazione attuale? Berna avrebbe voluto che il 40% degli ucraini in età lavorativa avesse trovato un impiego entro la fine del 2024. Nel maggio di quest’anno ha fissato poi un nuovo paletto con scadenza a fine 2025: il 50% di occupati fra quanti sono giunti in Svizzera da almeno tre anni. Si parla quindi degli arrivi della prima ora, nei mesi immediatamente successivi all’invasione russa.

Il primo obiettivo è stato mancato nove mesi fa ed è ancora insoddisfatto oggi. Attualmente - gli ultimi dati sono quelli di luglio - lavora il 33,8% dei beneficiari di statuto S (il 35,6% degli uomini, il 32,8% delle donne). I due terzi, di riflesso, non hanno un’occupazione.

Ancora forti differenze fra i Cantoni

La situazione non è tuttavia uniforme da un cantone all’altro. Gli occupati - per fare qualche esempio - sono il 66,3% in Appenzello Interno (con numeri assoluti molto bassi però, si tratta di appena 55 persone su 83 di età compresa fra i 18 e i 64 anni), il 39,1% a Zurigo (3’283 su 8’389), il 40,3% nei Grigioni (317 su 786), ma appena il 17,5% in Ticino (278 su 1’587). Solo Ginevra fa peggio (16,6%) e l’unico altro sotto il 20% è Neuchâtel. “Come a Ginevra, anche il nostro cantone subisce il fattore della vicinanza alla frontiera”, rilevava già nell’aprile del 2024 ai microfoni del Quotidiano della RSI Renzo Zanini, responsabile dell’Ufficio cantonale richiedenti l’asilo e rifugiati. “C’è l’effetto del frontalierato, che è molto importante da noi. In aggiunta c’è anche la questione della lingua. Per lavorare in Ticino occorre parlare italiano. Se si impara questa lingua per lo più si riesce a lavorare solo qui”. Chi ha il permesso S avrebbe infatti il diritto di spostarsi in un altro cantone se vi trova un impiego.

Non meno ambizioso appare l’obiettivo federale di raggiungere entro fine 2025 il 50% di occupati fra quanti sono arrivati in Svizzera nel 2022. Oggi per questa categoria siamo al 43,6% a livello nazionale, con tendenza a una lenta crescita.

Nell’annunciare questo obiettivo il 28 maggio, il Consiglio federale aveva comunicato che “i Cantoni con un tasso d’occupazione chiaramente inferiore alla media dovranno adottare misure supplementari. In una prima fase, dal 2026 saranno obbligati a elaborare e attuare un piano di misure volto ad aumentare il tasso d’occupazione. Se queste misure cantonali non dovessero bastare, i Cantoni in questione dovranno sottoporre a una valutazione esterna il loro sistema di promozione dell’integrazione”. Da qui la tesi dell’impossibilità di raggiungere il traguardo prefissato nel contesto ticinese, messa nero su bianco dal Consiglio di Stato, che nella sua presa di posizione invocava una revisione di questi obiettivi “applicando loro degli adeguati margini di tolleranza e rispetto delle specifiche situazioni cantonali del mercato del lavoro”.

Il grafico qui sopra mostra il tasso di occupazione a dipendenza della durata del soggiorno. Gli ucraini che vivono in Svizzera sin dai primi mesi dopo l’inizio della guerra, pur non raggiungendo gli obiettivi sopracitati, appaiono i meglio integrati nel mercato del lavoro.

Accanto a specificità regionali, mancato riconoscimento di diplomi, incertezza su una permanenza a lungo termine, un ostacolo all’integrazione potrebbe essere costituito anche dalla mobilità garantita dal permesso S (a differenza per esempio dell’F, quello dell’ammissione provvisoria). In conclusione della sua presa di posizione, il Governo ticinese scriveva quanto segue: “Riteniamo che un rientro frequente nel proprio Paese di origine (l’Ucraina), come avviene in taluni casi oggigiorno, è in contrasto con la volontà politica di una maggiore integrazione di questa categoria di cittadini stranieri e allo stesso tempo mal giustifica la reale necessità di protezione richiesta e concessa per queste persone”.

Oggi i beneficiari del permesso S possono rientrare in patria per 15 giorni ogni 3 mesi, che in futuro dovrebbero essere ridotti a 15 giorni ogni semestre.

02:43

Ucraina, giornata dell'indipendenza

Telegiornale 24.08.2025, 20:00

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