Territorio e tradizioni

Cicitt: il sapore antico delle Valli del Locarnese

L’autunno è tempo di salsicce di capra uniche, nate da un sapere contadino che ancora oggi racconta l’identità di un territorio, tra fumo di brace e piccoli produttori

  • Oggi, 11:30
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I Cicitt, tradizione autunnale delle Valli del Locarnese 

RSI Mani, terra, Ticino 24.11.2025, 17:07

  • Alessia Rauseo
  • Alessia Rauseo
Di: Alice Tognacci 

Mani, terra, Ticino: il buono di qui

Questo approfondimento fa parte della serie di contenuti “Mani, terra, Ticino: il buono di qui”, realizzata da RSI Food in collaborazione con Ticino a Te - progetto coordinato dal Centro di Competenze Agroalimentari Ticino (CCAT), organizzazione senza scopo di lucro - e con la Sezione dell’agricoltura della Divisione dell’economia.

Ogni mese, attraverso video e approfondimenti, raccontiamo le produzioni agroalmentari del Cantone, in chiave divulgativa e curiosa. Ogni puntata valorizza una filiera locale attraverso la voce di un interlocutore che si fa portavoce del sapere collettivo, con l’obiettivo di sfatare miti, sostenere il lavoro artigianale e far emergere il vero “buono di qui”.

Giorgio Speziale, allevatore in Vallemaggia e presidente dell’Associazione di produttori di Cicitt delle Valli del Locarnese, ci accoglie davanti alla sua azienda agricola a Bignasco. È il tempo in cui si preparano i Cicitt, un prodotto di nicchia, stagionale, che affonda le sue radici nella storia contadina della regione.

In primavera e in estate, le capre di Giorgio salgono agli alpeggi per produrre il formaggio Vallemaggia, ma è in autunno, con gli animali a fine carriera, che inizia la preparazione dei Cicitt.

Giorgio Speziale da bambino saliva all’alpe con il padre e a sei anni già mungeva a mano. Dopo un’esperienza come disegnatore e un tentativo di fuga in Australia, è tornato tra le sue montagne, dove ha trovato il suo posto. Dal 2007 conduce un’azienda agricola a Bignasco e ogni autunno produce i Cicitt seguendo la tradizione tramandata dai suoi zii. «Ed eccomi qua», dice sorridendo. Produce Cicitt da quando aveva 15 anni seguendo la ricetta imparata dagli zii.

Giorgio Speziale da bambino saliva all’alpe con il padre e a sei anni già mungeva a mano. Dopo un’esperienza come disegnatore e un tentativo di fuga in Australia, è tornato tra le sue montagne, dove ha trovato il suo posto. Dal 2007 conduce un’azienda agricola a Bignasco e ogni autunno produce i Cicitt seguendo la tradizione tramandata dai suoi zii. «Ed eccomi qua», dice sorridendo. Produce Cicitt da quando aveva 15 anni seguendo la ricetta imparata dagli zii.

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La leggenda vuole che siano nati all’inizio del Novecento, da un certo Giuseppe Dadò, che per non sprecare le parti meno nobili della capra cominciò a insaccarle. Oggi come allora, i Cicitt si preparano con un impasto fatto di carne caprina, frattaglie e spezie. Giorgio usa solo sale e pepe. Altri aggiungono vino rosso, aglio o altre aromatizzazioni leggere, ma la base resta la stessa: tutto capra, senza compromessi.

Durante le serate autunnali, quando si fa il giro del paese, senti l’odore del fumo che esce dai camini e capisci subito chi ha i Cicitt sul fuoco.

Si racconta che i Cicitt di Giuseppe Dadò, ai tempi, ebbero un grande successo, tanto che le poste della zona sapevano quando era periodo di mazza e di Cicitt perché venivano spediti in tutta la Svizzera.
Per la produzione si faceva aiutare dalla famiglia numerosa di figli e da alcuni dipendenti.

«La capra è la mucca dei poveri», ricorda Speziale. «Qui in Valle siamo soprattutto allevatori di capre perché la nostra è una valle impervia, molto ripida, e posto per le mucche ce n’è ben poco, quindi i nostri avi hanno optato per un animale minuto che riesce ad arrampicarsi fin sulle vette senza troppi problemi».

La capra, dunque, è un animale che ha permesso di sfruttare al meglio tutto il territorio fino alle cime più alte. La storia dei Cicitt, però, non è dettata solo dal paesaggio: era anche una forma di “zero spreco” e di valorizzazione perché della capra non si buttava via nulla; mentre con tagli più nobili venivano fatti salami e violini, tutto il resto serviva per i Cicitt.

Il prodotto finito è stretto e lungo, simile a una luganighetta, ma differente per consistenza, gusto e modalità di cottura. Non si mette in padella: si fa alla brace, o al camino.

cicitt, giorgio speziale
  • Alessia Rauseo

Come spiega Speziale, i capi usati per produrre questa salsiccia sono capre ormai anziane, che non producono più latte, a volte prive di denti, o che non hanno mai partorito.
In un’economia agricola che vive di equilibrio e sostenibilità, anche queste capre trovano un valore. Una trasformazione che dà continuità a un ciclo di vita, e che rispetta una logica antica, quella del non sprecare nulla, del valorizzare tutto.

Li cuoci sulla brace, e il grasso di capra che cola alimenta il fuoco. Quando finisce di colare, il Cicitt è pronto. Un gesto che impari col tempo.

Un sapere che resiste: la nascita dell’Associazione dei produttori e il Presidio Slow Food

Mantenere viva la tradizione dei Cicitt, secondo Speziale, non è solo un gesto di conservazione culturale: è un atto di riconoscenza verso chi ci ha preceduto e un investimento sul futuro delle valli.
In Vallemaggia, questo sapere si trasmette ancora oggi tra generazioni. Speziale racconta di tante difficoltà, ma anche di giovani incuriositi da questa preparazione autunnale: ragazzi che vogliono capire, osservare, provare. C’è chi arriva per vedere, chi resta per imparare. Indossano il grembiule, affilano i coltelli, seguono le istruzioni. È in questi momenti che il Cicitt si trasforma in qualcosa di più di un prodotto: diventa eredità viva.

cicitt, produzione
  • Alessia Rauseo

E trasmettere un sapere significa anche proteggerlo: così, nel 2006, è nata l’Associazione dei Produttori di Cicitt delle Valli del Locarnese, di cui Speziale è ancora presidente. L’obiettivo: valorizzare il Cicitt autentico, fatto esclusivamente con carne di capra, senza scorciatoie o alterazioni.
Speziale racconta che la spinta decisiva è arrivata durante un mercatino di Natale a Locarno, quando Meret Bissegger, allora nel comitato di Slow Food Ticino, sollevò una preoccupazione: c’erano Cicitt in commercio che contenevano grasso di maiale. Quella — come spiega Giorgio — è un’altra cosa. È una luganiga travestita, non una vera salsiccia caprina.
Da lì, l’associazione dei produttori ha lavorato con Slow Food per definire e tutelare la ricetta tradizionale. Ne è nato il Presidio Slow Food Cicitt delle Valli del Locarnese, che oggi rappresenta non solo un marchio di qualità, ma anche un impegno collettivo a custodire un’identità territoriale.

Ho cominciato a fare i Cicitt a 15 anni con i miei zii. Sono loro che mi hanno insegnato. Tuttora li produco con la ricetta tradizionale che mi hanno lasciato.
Giorgio Speziale, cicitt, Bignasco
  • Alessia Rauseo

Le sfide dell’allevamento caprino oggi

Se oggi il Cicitt continua a esistere, è anche grazie alla caparbietà di allevatori come Speziale. Ma resistere non è scontato. L’allevamento caprino — soprattutto nelle zone di montagna — affronta sfide sempre più complesse.
La prima, e forse più silenziosa, è l’abbandono. Sempre più giovani - ci spiega Speziale - si allontanano da questa professione, o sono scoraggiati nell’intraprenderla a causa delle difficoltà quotidiane, burocrazia, e da un contesto spesso poco favorevole. Secondo Speziale, prima ancora dell’arrivo del lupo — presenza che ha riacceso tensioni e preoccupazioni negli ultimi anni — a minare la sostenibilità dell’attività sono stati altri fattori: restrizioni crescenti, normative ambientali, incomprensioni con la popolazione residente e turistica.

Uno dei punti critici è il divieto di vago pascolo, un tempo pratica diffusa e funzionale alla manutenzione del territorio. Le capre, infatti, non erano solo animali da latte o da carne, ma veri e propri “decespugliatori naturali”, capaci di tenere puliti i pendii e prevenire il degrado. Oggi, però, devono restare confinate in recinti, spesso in spazi complessi da delimitare, soprattutto in alpeggio.

Giorgio non si scoraggia, ma ammette che per un giovane alle prime armi, partire oggi può sembrare andare controcorrente. Per questo, sottolinea, serve maggiore ascolto, più comprensione, più sostegno a chi ancora sceglie di restare.

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Immagine d'archivio

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  • Antonio Bolzani

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