I separatisti armeni del Nagorno-Karabakh hanno cominciato a consegnare le armi, come previsto dal cessate il fuoco concluso mercoledì dopo un solo giorno di combattimenti, che li ha visti sconfitti dalle forze azere. Il bilancio degli scontri era stato di 200 morti e 400 feriti circa. Secondo il Ministero della difesa russo, il cui contingente di pace nella regione è incaricato di gestire l’operazione, finora sono stati consegnati sei blindati, oltre 800 armi leggere e 5’000 munizioni.
Le trattative fra i leader dell’etnia armena, maggioritaria nella zona, e quelli azeri sono iniziati giovedì a Yevlakh e dovranno “permettere di organizzare il ritiro delle truppe e il ritorno a casa degli sfollati”. Migliaia di civili sono confrontati a una situazione di emergenza umanitaria e altre migliaia sono già fuggiti in Armenia. Si teme un esodo dei 120’000 abitanti. La capitale Stepanakert è priva di carburante ed elettricità, secondo un giornalista sul posto. I rifornimenti erano già fortemente penalizzati da mesi, visto il blocco del corridoio di Lachin, l’unico collegamento fra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia.
Erevan afferma che “un’evacuazione di massa non è prevista”, ma si dice nel contempo pronta ad accogliere “40’000 famiglie di rifugiati”. Intanto, per bocca di un consigliere del presidente Ilham Aliyev, l’Azerbaigian ha detto che autorizzerà il Comitato internazionale della Croce Rossa a portare aiuti e a farsi carico dei combattenti feriti. Un primo convoglio ha già passato il confine regionale con 70 tonnellate di materiale.

I manifestanti a Berna
Manifestazione in favore degli armeni a Berna
La preoccupazione per la sorte dei civili armeni in Nagorno-Karabakh è arrivata anche in Svizzera, dove in 200 hanno manifestato sulla piazza della cattedrale di Berna per chiedere sostegno agli abitanti dell’area. La manifestazione è stata organizzata dall’Associazione Svizzero-Armenia, dall’Union Arménienne de Suisse, dall’Associazione armena di Zurigo, dalla Christian Solidarity International (CSI) e dalla Società per i popoli minacciati. Molti dei partecipanti portavano bandiere armene.
Gli antefatti
Il Nagorno-Karabakh, azero per il diritto internazionale, è conteso da decenni fra i due Paesi, dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica. La guerra ha conosciuto un apice nei primi anni ‘90 quando la regione si era dichiarata indipendente e l’Armenia aveva scacciato gli azeri dalla regione montagnosa conquistando anche porzioni di territorio attorno ad essa. Le ostilità causarono circa 30’000 vittime. Il conflitto, mai del tutto sopito, è poi riesploso nel 2020, quando Baku ha lanciato con successo un’offensiva forte dell’equipaggiamento fornito dalla Turchia. Il cessate il fuoco arrivò dopo 44 giorni di combattimenti a cavallo fra settembre e novembre, con un bilancio di 6’500 morti. Ha ridefinito il tracciato della linea di contatto a vantaggio dell’Azerbaigian. Mosca aveva mediato l’accordo di tregua e inviato una forza di mantenimento della pace. Una parte della regione resta sotto controllo separatista. Da allora le controversie sono legate soprattutto all’apertura del corridoio di Lachin, che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia e che permette i rifornimenti. Il suo blocco, negli scorsi mesi, ha portato a carenze di cibo, carburante e medicinali. Insoddisfatta della Russia, ora concentrata sulla guerra in Ucraina, l’Armenia ha cercato ultimamente appoggio a Occidente. Fino a mercoledì si sono svolte esercitazioni militari che per una settimana hanno impegnato soldati armeni e statunitensi. L’interessamento di Washington verso un altro alleato tradizionale di Mosca è stato accolto con irritazione dal Cremlino.
