La guerra fra Israele e Iran ha spostato il baricentro delle priorità degli Stati Uniti ancor più verso il Medio oriente e sempre più lontano dall’Ucraina. Dall’inizio del 2025, con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca, il sostegno militare e finanziario di Washington a Kiev si è sostanzialmente azzerato e gli USA hanno adottato una posizione di mediazione fra Russia e Ucraina, correggendo ampiamente il ruolo di maggiore alleato di Kiev contro Mosca, avuto in precedenza. Fra Trump e Putin si è assistito a un riavvicinamento, impensabile lo scorso anno ai tempi di Biden, e la nuova amministrazione statunitense ha apertamente annunciato il disimpegno sulla scacchiera ucraina che sta costringendo Zelensky solo sulla difensiva, sia sul terreno di guerra che nella cornice dei rapporti diplomatici con lo schieramento alleato.
Agli ultimi vertici internazionali, sia quello della NATO all’Aja che quello dell’Unione Europea a Bruxelles, il dossier ucraino è scivolato nelle retrovie, fra lo smarcamento di Trump sempre più evidente e le difficoltà europee di trovare una linea comune: la questione del 18esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, rimasto sulla carta a causa dei dissidi interni, è solo l’ultimo esempio di quanto il supporto nei confronti di Kiev si stia allentando, anche pubblicamente.
Aiuti in calo, nonostante la retorica
Sino alla fine del 2024 Zelensky ha ricevuto il sostegno finanziario e militare di Stati Uniti e UE che ha permesso da una parte di reggere l’impatto economico del conflitto, consentendo allo Stato di funzionare in condizioni di emergenza, dall’altra ha consentito la difesa, almeno parziale, del paese. Non ha però soddisfatto l’obbiettivo di respingere l’invasione russa e riconquistare i territori perduti, dalla Crimea al Donbass, ripristinando i confini del 2014. Sia Washington che Bruxelles e le cancellerie europee hanno offerto aiuti non sufficienti a questo scopo, limitando o evitando del tutto le forniture di armi letali a lungo raggio, dai missili Atacms statunitensi ai franco-britannici Scalp-Storm Shadow, passando per i Taurus tedeschi. Anche nel contesto di una guerra di logoramento, dipendente da molti più fattori che non solo da presunti game changer come i caccia da combattimento a stelle strisce F16 o i francesi Mirage, l’Ucraina è stata messa dagli alleati occidentali in condizioni di opporsi in maniera limitata alla Russia. Negli ultimi mesi la situazione è ancora peggiorata, nonostante l’abbondante retorica europea e la nascita della cosiddetta coalizione dei volenterosi in seno all’Europa.
Porte chiuse alla NATO
Mentre da un lato Trump si è concentrato su dossier lontani da Kiev, a Bruxelles e dintorni la Commissione guidata da Von der Leyen e i leader di Gran Bretagna, Germania e Francia hanno ribadito l’appoggio assoluto a Kiev, producendo però molto poco. Se a maggio l’ultimatum europeo per una tregua di trenta giorni propedeutica alle trattative è stato semplicemente ignorato dal Cremlino, a giugno l’Unione non è nemmeno riuscita a mostrarsi unita per approvare l’ennesimo pacchetto sanzionatorio contro Mosca, mettendo in chiaro le divergenze tra gli zelanti supporter di Kiev e i fautori di una strategia trumpiana dentro l’UE.
Allo stesso modo nel contesto della NATO, come emerso al summit nei Paesi Bassi, l’entrata dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica chiesta a gran voce da Zelensky non è più all’ordine del giorno, stralciata già da tempo dallo stesso Trump e confermata appunto anche dal cancelliere tedesco Merz, che ha affermato che qualsiasi paese in guerra o con dispute territoriali irrisolte non può aspirare a questo obbiettivo. Non certo una novità, ma l’ennesimo segnale che la cornice si sta permeando comunque di maggior realismo.
Buon viso a cattivo gioco
Di fronte alla Realpolitik proprio di paesi come la Germania, che se da un lato sono alla testa del manipolo di volenterosi, dall’altra continuano a fare affari con Mosca - come ha dimostrato una recente inchiesta che ha svelato l’import di gas russo da parte di Sefe, azienda in mano allo Stato tedesco dopo l’esproprio a Gazprom all’inizio della guerra - l’Ucraina poco può: Zelensky deve per forza di cosa fare buon viso a cattivo gioco, tentando di recuperare il rapporto con Trump, al quale ha spiegato all’Aja che “Putin non sta vincendo”, e sperando che l’Unione Europea e soprattutto i paesi che spendono parole di solidarietà mantengano qualche promessa in più.
Dopo oltre tre anni di guerra in ogni caso è la Russia che continua a mantenere l’iniziativa sul campo e detta il ritmo sul possibile percorso di pace: se gli scambi di prigionieri sono continuati fra maggio e giugno, prosegue invece lo stallo diplomatico. Per due ragioni: da un lato il Cremlino vuole sfruttare ancora la posizione di vantaggio sul campo e allargare il perimetro dei territori conquistati; dall’altro Kiev e gli alleati occidentali non si sono ancora occupati di quelli che potranno e dovranno essere gli scenari postbellici con le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, come richiesto dallo stesso Zelensky nel documento presentato a maggio anche al Cremlino. L’elaborazione da parte di tutti gli attori di un progetto di sicurezza continentale che venga condiviso è essenziale per il raggiungimento di una pace duratura.

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