Il Messico è diventato, in pochi mesi, uno dei protagonisti inattesi della rivoluzione dell’intelligenza artificiale. La corsa globale ai superchip e ai data center sta trasformando il Paese in un nuovo snodo strategico per le grandi potenze tecnologiche.
Gli annunci si susseguono a ritmo serrato, uno dopo l’altro. Il colosso californiano Nvidia, leader mondiale dei processori per l’IA, ha appena confermato un investimento da un miliardo di dollari nello stato di Nuevo León, nel nord del Paese, per la costruzione di un centro dati di ultima generazione. A settembre, la statunitense CloudHQ ha svelato un piano da 4,8 miliardi di dollari per realizzare sei data center a Querétaro, nel cuore del Messico, che ormai si sta imponendo come il principale polo digitale dell’America Latina. L’annuncio, è stato fatto in diretta durante la conferenza mattutina della presidente Claudia Sheinbaum al Palazzo Nazionale, con il ministro dell’Economia Marcelo Ebrard al suo fianco.
E non è finita. Amazon Web Services ha confermato a gennaio un investimento superiore ai 5 miliardi di dollari per espandere la propria rete cloud in Messico, sempre con Querétaro al centro delle operazioni. Intanto, la taiwanese Foxconn, gigante della manifattura tecnologica, ha scelto il Paese per costruire la più grande fabbrica mondiale di processori GB200, il cuore dei server che alimentano l’intelligenza artificiale generativa. Anche la cinese Alibaba Cloud, nel febbraio di quest’anno, ha inaugurato il suo primo centro dati messicano, con l’obiettivo di rafforzare la presenza nei mercati globali emergenti. Le istituzioni locali si sono mostrate rapide nel concedere autorizzazioni e incentivi fiscali.
Ma dietro agli annunci trionfali emergono fragilità profonde. I data center richiedono enormi quantità di energia elettrica e acqua, risorse che il Messico fatica già oggi a garantire. La rete elettrica nazionale, debole e soggetta a continui sovraccarichi, mostra chiari segni di saturazione: nelle aree dove stanno sorgendo i nuovi poli tecnologici si moltiplicano i blackout, con ripercussioni dirette sulla vita quotidiana dei residenti.
L’acqua rappresenta un problema ancora più complesso. I sistemi di raffreddamento necessari a mantenere operative le server farm richiedono enormi volumi d’acqua, in territori che già soffrono la siccità. Nel centro e nel nord del Paese, dove sorgono la maggior parte delle nuove infrastrutture, i serbatoi naturali sono al limite e in molte zone l’approvvigionamento avviene ormai attraverso camion cisterna, indispensabili per garantire la continuità dei servizi. I residenti denunciano cali di pressione, interruzioni prolungate e, in alcuni casi, emergenze sanitarie dovute alla scarsità d’acqua potabile.
Il problema, però, non è la mancanza assoluta d’acqua. Il Messico dispone di risorse idriche significative, ma la loro distribuzione è profondamente diseguale. A peggiorare la situazione, l’espansione urbana e industriale consuma territorio naturale e aumenta il fabbisogno energetico e idrico. Il Messico ospita anche industrie ad altissimo consumo di acqua, come quella della birra, che hanno reso il Paese il primo esportatore mondiale di questa bevanda.
Le aziende che investono nei nuovi centri promettono sistemi di riciclo e raffreddamento a circuito chiuso, ma la mancanza di trasparenza sui dati ambientali solleva dubbi e proteste sulla reale sostenibilità del modello.
Eppure, la corsa continua. La domanda globale di capacità di calcolo cresce, trainata dallo sviluppo vertiginoso dell’intelligenza artificiale. Il Messico, spinto dalla sua posizione geografica e dai costi competitivi, vuole farsi trovare pronto. La sfida non è solo tecnologica: è ambientale, energetica e politica. Da un lato persistono le vecchie fragilità strutturali che da decenni accompagnano lo sviluppo economico; dall’altro, una nuova industria che corre a una velocità straordinaria. La sfida sarà trasformare questa corsa tecnologica in un modello di sviluppo che non consumi, insieme all’acqua e all’energia, anche il futuro del Paese.











