La Casa Bianca ha confermato che solo Israele ha “appoggiato” il piano proposto dagli USA per una tregua a Gaza. Dal canto suo Hamas ha definito il piano insoddisfacente, perché tra le altre cose non dà garanzie sulla fine della guerra, pur aggiungendo che l’esame prosegue.
Giovedì, inizialmente, la tv saudita Al Arabiya aveva acceso le speranze, affermando che anche la fazione palestinese aveva accettato il piano ma la notizia è stata poi smentita sia da fonti israeliane sia da Hamas.
Da parte israeliana l’apertura è arrivata durante un incontro tra il premier Benjamin Netanyahu e i suoi ministri, nonostante l’opposizione dei suoi alleati più oltranzisti. E poi da lui stesso annunciata alle famiglie degli ostaggi ancora trattenuti nella Striscia, che nei giorni scorsi avevano condannato l’altalena di annunci e smentite del primo ministro sulla pelle dei loro cari.
In particolare, la bozza messa a punto da Witkoff, e sottoposta mercoledì al vaglio del presidente Trump prima di essere inviata alle parti, prevede una tregua di 60 giorni, il rilascio di 10 ostaggi ancora vivi (5 il primo giorno, altri 5 dopo una settimana) e la riconsegna di 18 corpi (9 il primo giorno e 9 dopo). In cambio, Israele rilascerà 125 detenuti palestinesi condannati all’ergastolo per terrorismo, 1’111 cittadini di Gaza detenuti dall’inizio della guerra e 180 corpi di palestinesi attualmente trattenuti dalle autorità israeliane. Durante i 60 giorni di cessate il fuoco, inoltre, proseguiranno i negoziati tra Israele e Hamas per porre fine alla guerra.
Quello che però avrebbe irritato la fazione islamica, ha riferito una fonte a Walla, è che la proposta non contiene una chiara garanzia americana che la tregua porti a un cessate il fuoco permanente, né sul fatto che se i colloqui dovessero andare avanti oltre i 60 giorni anche la tregua dovrebbe proseguire, senza che Israele possa violarla unilateralmente come fatto l’ultima volta a marzo, allo scadere della precedente intesa.
“La risposta dell’occupazione significa essenzialmente la perpetuazione dell’occupazione, la continuazione di uccisioni e carestie (anche durante il periodo di tregua temporanea) e non soddisfa nessuna delle richieste del nostro popolo, inclusa la fine della guerra e della carestia”, ha fatto sapere Bassem Naim, uno dei capi del movimento in esilio. Aggiungendo comunque che “la leadership del movimento sta valutando, con grande senso di responsabilità e patriottismo, come rispondere a questa proposta”.

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